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Cinegiornale del ‘900 spiega com’è nato lo spumante

Redazione Quotidiano Piemontese

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Com’è nato lo spumante? La risposta oggi nella sede storica della cantina Gancia di Canelli, in corso Libertà. E’ ancora in atto, dalle 9, il convegno “Viticoltura e industria nelle terre del moscato”, parte del progetto “La nascita dello spumante italiano”, promosso dalla Comunità delle Colline “Tra Langa e Monferrato” e dall’associazione “Canelli domani”. Si incentra su studi e ricerche relative ai rapporti tra viticoltura e industria nell’area di produzione dell’uva moscato bianco dove, più di un secolo e mezzo fa, vide la luce il primo spumante italiano e sull’evoluzione della comunicazione pubblicitaria e aziendale nel corso dei secoli. Il convegno, moderato da Filippo Larganà, giornalista astigiano, vanta numerosi nomi del panorama culturale piemontese. Storia dell’enologia, quindi ma anche storia di un territorio, fortemente votato alla viticoltura, aspetto inscindibile, in questa zona, dalla vita contadina, industriale ed economica.

A curare i lavori è Patrizia Cirio, storica dell’industria che, insieme a Lorenzo Vallarino Gancia, “padrone di casa”, ha  trovato un eccezionale documentario d’epoca dell’Istituto Luce (L’Unione Cinematografica Educativa), in stile cinegiornale sovietico, della durata di 26 minuti. La pellicola è stata girata tra il 1929 e il 1931, secondo le indicazioni del Luce e l’utilizzo di una banda sonora, in uso in quel periodo, con un brano di Mozart, ad accompagnare le immagini, lo confermerebbe. E’ intitolata “L’industria dello spumante in Italia”. Divulgativa, promozionale e realista,  propone una messaggio politico-ideologico e, in base alla sua stessa struttura, pare voglia  coinvolgere il grande pubblico, non solo gli industriali o la classe intellettuale, dal punto di vista agrario e sociale. E’ specchio dei cambiamenti in corso in quegli anni. Nonostante sia sconosciuto il nome del regista, in quel periodo erano autori quali Mario Camerini e Alessandro Blasetti a cimentarsi in opere del genere. Il cortometraggio, inoltre, è presente in casa Gancia in più lingue, tedesco, francese, italiano, ragion per cui si ritiene che fosse destinato ad uscire dai confini nostrani per raggiungere quei Paesi con cui l’Italia del Novecento aveva intrecciato rapporti commerciali. Ancora un motivo pare abbia sollecitato la realizzazione del cinegiornale, ovvero la necessità di rinnovare il settore dello spumante, che contava ormai mezzo secolo di sviluppo, minacciato da alcuni problemi che i governi liberali non avevano saputo risolvere. Si parla di mancanza di denominazioni a rappresentazione di una precisa identità del prodotto (inizialmente, era noto solo l’appellativo champagne), forte concorrenza di imprenditori definiti dagli stessi industriali Gancia “volgari sofisticatori”, in quanto distribuivano vini gasificati artificialmente, venduti a basso prezzo. Il Governo di nuovo regime rispose alle richieste del settore, grazie alla collaborazione di Camillo Gancia, allora capo dell’azienda, e di alcuni industriali di Canelli, emanando un provvedimento per l’abbandono del nome champagne e l’adozione di uno più territoriale come Asti. Da qui nacque il consorzio dell’Asti che dettava le regole della produzione di questa tipologia di vino.

Il  film apre sull’arrivo di un treno agli stabilimenti Gancia (la ferrovia in questo tratto è del 1853-1865 e il raccordo ferroviario con le strutture dell’azienda è datato 1866) e prosegue, in campo lungo, riprendendo le distese dei vigneti di moscato che si aprono ad anfiteatro con i filari in perfetta simmetria. A tal punto una didascalia concede un tributo al conte Incisa Beccaria di Santo Stefano Belbo, nel cuneese, la cui famiglia si era prodigata, fin dall’epoca napoleonica, a favore della viticoltura locale e dell’approdo della ferrovia nelle campagne astigiane, in modo da rendere Canelli raggiungibile. Le immagini si concentrano poi su fanciulle gioiose che vendemmiamo, sugli uomini che riempiono le bigonce,  su una carovana di uomini, carri e buoi che superano i tornanti delle colline per dirigersi agli stabilimenti canellesi. Quest’ultima è una sequenza d’effetto e realistica, tanto che Cesare Pavese la descrive nel sesto capitolo de “La Luna e i falò”, “…c’era stato sul carro quando il Pa era andato a vendere l’uva da Gancia ….”.

Si passa poi al racconto delle varie fasi produttive, torchiatura, raspatura, filtraggio del mosto, mise en bouteille, remouage, degorgement, fino alla fase dell’imballaggio e della spedizione del prodotto Motori, pompe e ingranaggi, uomini e donne si fondono con le macchine che accelerano le operazioni, realizzando 40.000 bottiglie in un giorno.

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