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Cultura

Luis Sepulveda: “Se non fossi uno scrittore sarei un goleador”

Redazione Quotidiano Piemontese

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Chiudiamo gli occhi (ogni tanto fa bene) e concediamoci una manche a Sliding doors (il gioco delle vite parallele). Ci troviamo in uno stadio gremito, gli occhi incollati al campo: un ragazzo cileno in pantaloncini e maglietta si è smarcato dall’ultimo difensore e ora fronteggia la porta avversaria. Controllo di palla fenomenale. Il suo nome: Luis Sepulveda. Ma come (gli occhi si riaprono), Sepulveda lo scrittore? Proprio lui: sognava di diventare un campione della nazionale cilena (e magari lo sarebbe diventato davvero). In fondo la vita non l’ha smentito, facendone un goleador della penna.

Chiacchierando col giornalista Pietro Cheli (suo storico amico) Sepulveda regala agli spettatori del Salone del Libro un bozzetto della sua vita letteraria. I tempi sono ristretti, ma chi è bravo a disegnare sa dire molto con poche linee. “Non so se la letteratura mi abbia davvero cambiato la vita – dice salutando il pubblico – Prima di essere uno scrittore sono un cittadino” (ma certo, l’impegno civile innanzi tutto). Un attimo dopo, però, confessa che scrivere lo rende felice: “La letteratura è una dolcissima fuga: ti porta via dal presente per poi restituirti migliore”. E davvero, ascoltando le sue storie, si capisce che non c’è uno iato tra la dimensione contemplativa del leggere e quella attiva del fare: “Certe esperienze mi hanno fatto sentire molto onorato – dice, ripensando a premi e riconoscimenti – Però l’onore più grande della vita credo di averlo ricevuto a 21 anni, quando fui scelto come membro del corpo personale di difesa del presidente Salvador Allende. Era un uomo straordinario: desiderava il contatto coi giovani, amava la loro irruenza. Cercava persone che lo criticassero” (una frase, quest’ultima, che lascia una punta d’amaro in bocca, forse perché è impossibile non accorgersi di quanto strida col presente).

Con la sua voce profonda e il suo italiano impastato di Sud America (che fa subito avventura) Sepulveda costruisce una specie di letteratura orale, un romanzo improvvisato nel quale le vicende di un solo uomo (esiliato) si mischiano a quelle di un’intera nazione: “Strano paese, il Cile. La sua non è una storia d’oro, ma di terra. E i protagonisti non sono conquistadores a caccia di ricchezze, ma poveri contadini che cercano campi da coltivare in un perduto mondo australe”. Del resto i Mapuche, originari abitatori del Cile, si definivano “uomini della terra”. Secondo lo scrittore questo complesso di ragioni storiche ha determinato nel popolo cileno un’incontenibile “propensione all’idealità, un desiderio di migliorare il mondo”. Se un giorno don Chisciotte dovesse lasciare la sua cara Mancia e chiedere asilo politico (non si sa mai che direzione può prendere la storia), probabilmente troverebbe in Cile una casa ospitale.

Ma ecco che d’improvviso si cambia scena. L’intervistatore Cheli se ne esce con una proposta insolita: “Senti, perché non parliamo di calcio?”. L’intervistato accetta e i due si mettono a costruire una squadra internazionale degli scrittori. Per la cronaca, la difesa è tutta italiana: lo stesso Cheli in porta, Bruno Arpaia e Antonio Tabucchi terzini laterali, mentre come stopper c’è nientemeno che Andrea Camilleri. L’assist calcistico dà allo scrittore l’occasione per mettere a segno la sua ultima palla goal, un racconto da lasciare al pubblico. La storia inizia con un ragazzino di quattordici anni (un certo Luis Sepulveda) che da grande vuole fare il calciatore (e ha qualche probabilità di riuscirci, visto che il talento non gli manca). Un giorno Luis vede una ragazza bellissima di nome Gloria. Ovviamente se ne innamora e decide di regalarle “il mio tesoro personale: la foto della nazionale cilena, con le firme di tutti i giocatori, ottenute inseguendo per mesi il pulmino della squadra”. Ma evidentemente Gloria ha ben altro per la testa: accoglie il regalo freddamente e liquida quel giovanotto dicendo “Il calcio non mi piace”. Lui resta di sasso: “E che cosa ti piace?”, le chiede, sconcertato. Risposta: “La poesia”. Morale della favola: “Non so se Gloria sia responsabile di qualche risultato letterario. Di sicuro è responsabile di aver tolto un giocatore alla nazionale cilena”.    

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