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Cultura

Che fine ha fatto Dio? Parlano Gianni Vattimo e Vito Mancuso

Redazione Quotidiano Piemontese

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Dio è morto? Ha ancora senso parlare di lui? Se non possiamo dimostrarne l’esistenza in maniera scientifica, riusciamo a sfiorare in qualche altro  modo il suo insondabile mistero? Chi pensa che questi interrogativi siano roba d’altri tempi, da relegare nelle sacrestie polverose, avrebbe dovuto essere ieri pomeriggio al teatro Carignano di Torino: posti esauriti e una lunga fila di gente sotto il sole delle tre, alla ricerca di un improbabile biglietto. Tutto per sentire Vito Mancuso e Gianni Vattimo, il teologo e il filosofo. I due si sono sfidati a singolar tenzone, a colpi di lettere apostoliche e Critica della ragion pura. Kant e San Tommaso, Nietzsche e Hegel sono stati protagonisti di due ore di serrato dibattito, inserito in Torino Spiritualità e moderato dal giornalista Marco Politi.

L’incontro-scontro al Carignano ha rivelato (e non era difficile prevederlo) due punti di vista irriducibili, troppo distanti per trovare una linea comune, ma comunque capaci di entrare in dialogo. Mancuso, autore di un recente saggio dal titolo forte, Io e Dio, ha tentato  di definire il concetto di religione, un bisogno che ci appartiene fin dai nostri primordi. Dopo una galoppata che ripercorreva in pochi minuti millenni di storia, ha proposto questa conclusione: “La religione è, in ultima analisi, il tentativo di legare me stesso al destino ultimo del mondo”. Poi si è spinto a illustrare la sua idea di divinità. La parola ricorrente era energia: “un’energia vitale che fa consistere e sussistere l’universo, che informa di sé tutti gli esseri umani”. Ma Dio è anche  un principio etico: “quella propensione, insita in ogni uomo, a scegliere il bene e il bello”, un misterioso filo di luce che abbraccia tante tradizioni diverse e che “si può incontrare nella Bibbia, fin dai libri sapienziali, i miei preferiti di tutto il corpus veterotestamentario”.

Parole inaccettabili per Gianni Vattimo: “Mi sembra di sentir parlare i conquistadores spagnoli che volevano convertire gli Indios a forza. Questa concezione naturalistica e universalistica mi fa paura. Dio non è un’idea naturale, ma culturale. E poi, per favore, liberiamoci una volta per tutte del Dio dell’Antico Testamento: una specie di zio pazzo, capriccioso e sanguinario”. Poi però Vattimo, il filosofo del pensiero debole, voce da sempre molto critica verso il Cattolicesimo, ha rivelato anche alcuni lati di sé meno scontati. “Piuttosto che diventare un razionalista come Odifreddi e Flores – ha detto scherzando – credo anche a Fatima e a tutto il resto”. E ha aggiunto: “Per quanto mi riguarda, il solo modo possibile di avvicinarmi alla divinità, è farlo restando nel solco della tradizione in cui sono cresciuto e vissuto. Per me Dio è il Dio dei miei padri, il Dio di Gesù Cristo, quello del rosario, della compieta e dell’angelo custode. In definitiva Dio è una relazione, è quella pagina di Vangelo che recita ‘dove due o tre sono uniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro'”.

“Non credo di essere né un conquistador, né un fondamentalista – ha replicato il teologo – Per fortuna i tempi in cui si voleva convertire il mondo sono passati. La mia posizione si muove sul versante opposto: riconoscere che in ogni tradizione, compresa la più lontana dalla mia, esiste una ricerca di bene. Questo non vuol dire soltanto rispettarsi, ma camminare su una strada comune”. Così il discorso si è allargato ai temi, attualissimi, dell’ecumenismo, dell’accoglienza dell’altro, dell’apertura a prospettive nuove. “Ma la Chiesa di oggi – ha chiesto provocatoriamente Politi – è pronta a raccogliere queste sfide?” Risposta lapidaria di entrambi: “No”. Almeno su questo erano d’accordo.

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