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Cultura

Il Torino Film Festival omaggia Altman maestro dei film corali

Davide Mazzocco

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Robert Altman  Coll. AlascaQuando nel mondo del cinema ci si vuole far capire in fretta su di un film corale con un cast non gerarchizzato ma orizzontale si dice, molto brevemente “alla Altman”. Quando questa orizzontalità del cast interagisce intersecandosi magari con una cronologia scompaginata si parla ancora una volta di un’anacronia “alla Altman” o al massimo “alla Tarantino”. Quanto Altman abbia lasciato – soprattutto con i suoi film degli anni Settanta e degli anni Novanta – al cinema contemporaneo sarà il Torino Film Festival a chiarirlo con un retrospettiva quasi integrale: 40 lungometraggi diretti per il cinema e la televisione, due serie Hbo, episodi per la televisione e documentari industriali realizzati nella sua Kansas City negli anni Cinquanta. Ventisette personaggi principali in M.A.S.H., ventiquattro in Nashville e cinquanta in Un matrimonio dimostrano l’attitudine di Altman a una regia policentrica la cui energia esplode in più direzioni. Prova in negativo è il fallimento dei suoi film con un solo protagonista, come Popeye che all’inizio degli anni Ottanta fu uno dei più grandi flop della storia del cinema e decretò l’inizio di una crisi professionale durata una decina d’anni. A partire dagli anni Novanta, Altman torna alla dimensione corale con America oggi (trenta personaggi), Pret-à-porter (trentadue) e Gosford Park (quaranta) che ne decretano il ritorno nel salotto buono di Hollywood e diventano un modello di narrazione.

Nato nel 1925 a Kansas City, esordiente a metà degli anni Cinquanta con un film sui fenomeni giovanili (The Delinquents) e un documentario su James Dean (The James Dean Story), passato poi per più di un decennio in televisione, dove impara il mestiere dirigendo episodi di serie come Alfred Hitchcock presenta, Bonanza e Combat!, Robert Altman diventa famoso nel 1970, con M.A.S.H., che vince la Palma d’oro a Cannes. Da allora, con il suo lavoro continua a sconvolgere schemi narrativi, generi e miti del cinema e della cultura americani, a Hollywood, fuori da Hollywood (negli anni 80) e di nuovo a Hollywood a partire dagli anni Novanta, in una costante dichiarazione d’indipendenza e libertà espressiva.

E’ stato probabilmente il più prolifico degli autori emersi dal cinema americano anni Settanta, e certamente il più innovativo: con il suo stile sinuoso, calcolatissimo e insieme assolutamente libero, Altman ha raccontato meglio di chiunque altro (e con più determinata continuità) l’America che si confrontava disillusa con il crollo dei propri valori, con il dopo-Vietnam, con la paranoia dei complotti e degli attentati, con la disgregazione degli ideali, con il vuoto spettacolo di se stessa. Ha rivisitato tutti i generi (fantascienza, western, mélo, commedia, musical, noir, thriller), ha messo in scena il carrozzone della politica e della vita quotidiana, ha amato moltissimo i suoi personaggi, senza trasformarli mai in eroi. Il suo cinema è lucido, ironico, appassionato, anche quando, come in America oggi, ispirato a Raymond Carver, danza letteralmente sull’abisso che inghiottirà la civiltà occidentale.

Innamorato degli attori (e ricambiato da loro), ha lavorato con alcuni delle maggiori star hollywoodiane dell’ultimo mezzo secolo: Paul Newman, Warren Beatty, Julie Christie, Cher, Kim Basinger, Robert Downey Jr., Glenn Close, Julianne Moore, Meryl Streep, e ha letteralmente “inventato” attori come Elliott Gould, Shelley Duvall, Keith Carradine, Tim Robbins, vere e proprie icone del suo cinema, costruendo una specie di “grande famiglia” nella quale si mescolano facce, voci e talenti. Quella del Torino Film Festival è una delle retrospettive più complete mai dedicategli tanto che nei prossimi mesi approderà alla Cinemathèque française di Parigi.

In occasione del Torino Film Festival l’Editrice Il Castoro ha dato alle stampe Robert Altman, sontuoso catalogo che ripercorre i cinquant’anni di carriera del cineasta statunitense e che è stato presentato ieri sera al Circolo dei lettori di Torino. Sotto la curatela di Emanuela Martini (il che è già un bollino di qualità per la pubblicazione) i saggi inediti della stessa Martini di Giulia Carluccio e di Enrico Magrelli si mescolano ai contributi di “mostri sacri” come Guido Fink, Franco La Polla e Gianni Amelio. Ricco di interviste ad Altman e ai suoi attori, il libro ha un ricco apparato di immagini. In libreria dal 23 novembre, il volume è già disponibile al Museumstore della Mole Antonelliana.

Per info su orari e proiezioni: www.torinofilmfestival.it

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