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Cultura

La fame di Bianca Neve, intervista con Rosanna Caraci

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E’ da poco uscito, per i tipi di Impremix Edizioni, il romanzo di Rosanna Caraci “La fame di Bianca Neve”. Il libro ci butta a fondo nel tema dell’anoressia e della bulimia con il drammatico racconto in prima persona della protagonista. Ormai incapace di difendersi dal male che la attanaglia, che la domina, Bianca vive una vita vuota, quasi senza speranze, in una Torino che quasi si eclissa per non fare rumore.

Potete leggere qui la recensione integrale del libro.

Rosanna Caraci ha risposto alle nostre domande.

Un tema di una difficoltà e di un’attualità davvero notevole. Da cosa è nata la necessità di scrivere questo libro?

Sicuramente la grande spinta è stata rappresentata dal “bisogno” di parlare di un disagio e condividerlo. Chi scrive di disturbi alimentari non lo fa perché sceglie l’argomento tra tanti altri ma perché lo conosce, l’ha vissuto. Il bisogno di Bianca è quello di essere vista, ed è lo stesso che hanno queste ragazze, adolescenti, donne, che vivono come in un corto circuito affettivo nel quale il cibo diventa sedativo, ossessione, nemico.

Hai scelto di far parlare la protagonista in prima persona, mostrandoci così tutte le sue debolezze. Ne viene fuori un racconto duro, crudo, quasi senza speranza. Perchè la scelta di impostare così il romanzo?

In realtà il romanzo è in terza persona, ma interrotto da alcuni monologhi in prima persona assolutamente intensi, sofferti, cattivi che hanno come obiettivo proprio quello di serrare la narrazione del romanzo che oltretutto è segmentato in piccoli capitoli. Li ho immaginati come nodi di un rosario che Bianca scioglie fino alla fine. Bianca è sarcastica, si prende in giro, esprime una profonda misoginia nei confronti di un mondo che non la comprende e la vomita, come lei fa con il cibo. Impostando così il racconto, ho avuto la sensazione che il lettore potesse sentirsi preso per mano e accompagnato nel delirio.

Intorno alla protagonista si muovo alcuni personaggi che appaiono impotenti. Quanto è difficile vivere accanto ad una ragazza malata di anoressia?

Nico, il fidanzato e Corrado lo psichiatra sono sconfitti dalla follia di Bianca e al tempo stesso sedotti. E’ un romanzo. E’difficile comprendere chi è malato perché chi soffre di disturbo alimentare ha la sensazione che nessuno là fuori comprenda il suo lessico e il suo disagio: vorrebbe urlare il suo dolore ma al tempo stesso ha una grande difficoltà a comunicarlo. Si parla poco e male di anoressia, si parla per nulla di bulimia, disturbo diffusissimo e ancor più insidioso perché se la patologia dell’anoressica diventa ad un certo punto palese con l’eccessiva magrezza, la bulimica è molto spesso normopeso: abbuffate che poi vengono compensate, spesso consentono di mantenere un immagine insospettabile. Entrambe queste donne nel disagio gridano lo stesso bisogno di amore, di attenzione. Con nloro sono indispensabili empatia, comprensione, ascolto. Le ricette su come fare per uscire, i consigli, le “dritte” devono essere delicati, discreti.

La storia si svolge in una Torino che però rimane sullo sfondo, in silenzio, quasi a non disturbare. Che rapporto hai con la città?

Ho visto questa città cambiare negli anni e vorrei oggi essere l’adolescente che ero per poter approfittare delle tante opportunità culturali che Torino offre. I miei sedici anni erano quelli degli anni 80, periferia sud, qualche sera da Giau e niente di più perché niente c’era. Oggi l’offerta culturale, turistica, musicale anche d’avanguardia fa di Torino una città giovane, a portata di adolescente. E’ una città che non grida, come quella che osserva Bianca nel mio romanzo. Il viali napoleonici, le zone industriali dismesse e riconvertite, la delicata cortesia per la follia di Bianca del barista di piazza vittorio o l’indifferenza dei viaggiatori che la lasciano nella sua follia in una sera di neve nell’atrio di Porta Susa.

Chiudo sempre le mie interviste con un gioco, che in questo caso mi imbarazza un po’ ma forse può servire a stemperare il clima sul tema difficile di cui stiamo parlando. Immagina una trasposizione cinematografica del tuo romanzo. Quali attori ti piacerebbe interpretassero i tuoi protagonisti?

Se fosse un film, La Fame di Bianca Neve lo immagino interpretato da italiani e a Torino, ovviamente. Nel ruolo dello psichiatra mi piacerebbe Fabrizio Bentivoglio, per la sua versatilità, l’aspetto inquieto; Nico lo vorrei interpretato da un uomo dall’aspetto fragile, intellettuale, lo immagino su Luigi Lo Cascio… e Bianca sarebbe perfetta per Michaela Ramazzotti, bella, autentica nella sua forza dirompente che è, nel paradosso, la fragilità della mia principessa sfortunata.

Sabato 25 febbraio alle ore 17.00 “La fame di Bianca Neve” verrà presentato alla sala conferenze di via Piol a Rivoli, alla presenza dell’autrice. Parteciperanno Vincenza Scanzano, biologa nutrizionista, e Alda Cosola, psicologa psicoterapeuta. Modera: Eloisa Pasqualotto, psicologa.

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