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Ben venga il bike sharing free floating a Torino, ma serve una gestione ordinata per non creare problemi ai disabili visivi

Redazione Quotidiano Piemontese

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La presenza negli ultimi mesi per le strade di Torino dei serivizi di bike sharing a flusso libero ha creato una nuova risorsa per una città che ha importanti problemi di inquinamento  e che ha bisogno di investire in una mobilità sostenibile.

C’è però il problema di chi le usa in modo disordinato, abbandonandole in luoghi non idonei e crea grossi problemi alla mobilità dei disabili visivi, tanto che l’Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Torino ha scelto di prendere posizione: l’utilità e il valore del bike sharing non sono in discussione, ma è necessario un uso più ordinato dei nuovi servizi.

Il comunicato dell’ Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Torino

Hanno colori sgargianti, arrivano dall’Oriente, possono andare dappertutto e promettono una città più pulita. Ma se usate in modo disordinato creano problemi a chi si muove in strada, soprattutto alle persone con disabilità visiva. Parliamo delle cosiddette biciclette “a flusso libero”, che dal mese di novembre hanno fatto la loro comparsa a Torino, grazie al coinvolgimento di alcune aziende private, perlopiù di provenienza asiatica. Rispetto al servizio ToBike, il sistema comunale di bike sharing presente nel capoluogo piemontese da diversi anni, le nuove arrivate hanno una particolarità: non sono vincolate a rastrelliere o altri “depositi” fisici. Una volta giunto a destinazione, chi le adopera può lasciare in qualsiasi posto. Per individuarle e sbloccarle ci sono delle App dedicate, da installare sul telefono.

Risultato: negli ultimi mesi, le strade di Torino si sono riempite di biciclette, abbandonate un po’ ovunque (in mezzo ai marciapiedi, davanti ai portoni, perfino in corrispondenza degli attraversamenti). Per chi non vede o vede poco, tutto questo non fa che aggiungere ulteriori ostacoli a una mobilità già molto difficile. La sezione torinese dell’UICI (Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti) ha ricevuto numerose segnalazioni da parte dei soci. «Chi gira col bastone bianco si trova costretto a un pericoloso slalom – osserva Christian Bruno, del Comitato Autonomia e Mobilità UICI Torino – C’è il rischio di inciampare e farsi male. Io stesso, pur abituato a muovermi in città con relativa disinvoltura, ho avuto qualche “incontro ravvicinato” non esattamente gradevole».

Come detto, il bike sharing non è una novità assoluta a Torino. «Il servizio ToBike, fino a pochi mesi fa l’unico presente a Torino, non ha mai rappresentato un problema per i ciechi e gli ipovedenti – precisa Bruno – poiché prevede delle rastrelliere collocate in punti precisi, solitamente in luoghi che non intralciano il passaggio e che comunque possono essere facilmente memorizzati dai disabili visivi. Ora invece è iniziata l’anarchia e trovare una soluzione non è semplice. Servirebbe un lavoro di sensibilizzazione. Più in generale, gli spazi in cui lasciare le biciclette dovrebbero essere delimitati e distinti da quelli che invece devono rimanere liberi».

I disabili visivi sono particolarmente penalizzati, ma non sono certo gli unici ad aver sollevato il problema, tanto che già nei mesi scorsi l’assessore comunale alla mobilità, Maria Lapietra, aveva lanciato un appello, invitando i ciclisti a un uso responsabile dei nuovi servizi. Appello, purtroppo, caduto nel vuoto, visto che i disagi non sono diminuiti.

«La nostra non è assolutamente una presa di posizione contro il bike sharing – fa notare Franco Lepore, presidente UICI Torino – Ci rendiamo conto delle grandi potenzialità di questo strumento: anche noi, come cittadini, desideriamo abitare una città meno inquinata e più a misura d’uomo. Semplicemente chiediamo una gestione ordinata del servizio. Sappiamo che le biciclette a flusso libero sono state introdotte con successo in alcune città asiatiche e nordeuropee. Ma lì forse ci sono altri spazi e anche una diversa mentalità. Se necessario, chiediamo al Comune di intervenire. Muoversi a piedi a Torino, per chi non vede, è già un’impresa. Cerchiamo di non aggiungere ulteriori ostacoli e pericoli».

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