Piemonte
Aspettando Beckett l’assurdo si fa doppio
A Parigi, nel 1953, Samuel Beckett è il primo tra gli autori del teatro dell’assurdo a raggiungere la notorietà internazionale con Aspettando Godot, tragicommedia in due atti composta tra il 1948 ed il 1949 e andata in onda in una versione breve per la radio nel 1952. Come nelle Serve di Jean Genet, in questo testo domina il tema della servitù, non condizione sociale imposta e miserevole, ma presupposto ambiguo, vischioso, nel quale le vittime si compiacciono, pur fantasticando possibili vie d’uscita, e nella quale vogliono restare fino a una morte che, come paradossale condanna, sembra non arrivare mai. In una lettera l’autore scrive così a proposito dell’opera: «non so chi sia Godot. Non so neanche, soprattutto, se Godot esiste. E non so se ci credono o meno, i due che lo aspettano. L’entrata in scena degli altri due verso la fine di ognuno degli atti è forse dovuta al bisogno di rompere la monotonia. Tutto quello che ho potuto sapere l’ho mostrato. Non è molto. Ma mi è sufficiente, e di gran lunga. Direi che mi sarei anche accontentato di meno. Quanto a voler trovare a tutto questo un senso più ampio e più elevato, da portarsi via dopo lo spettacolo, con il programma e il gelato, sono incapace di trovarci l’interesse».
Una sera, in una strada di campagna Vladimiro ed Estragone, relitti umani, aspettano vicino a un albero l’arrivo di Godot, facendosi incessantemente domande a cui non possono rispondere. L’attesa è rotta dall’arrivo del canagliesco Pozzo, che tiene legato con una cinghia Lucky, costretto a trascinare valigie piene di sabbia. Sono personaggi la cui drammaticità si compone di grottesco, comico, assurdo, vuoto, parole, silenzi, attesa e testarda ostinazione. Condannati a parlare, negano quel che hanno appena detto, si contraddicono per il puro gusto di non affermare nulla. Dopo il successo di Re Lear, andato in scena nella stagione 2009/2010 del Teatro Stabile di Torino, Marco Sciaccaluga ha trovato le ragioni per affrontare uno dei classici del Novecento: «Quando lavorando sulla grande scena tra il pazzo Lear e il cieco Gloucester, non solo ho constatato con Jan Kott quanto di Beckett ci fosse in Shakespeare, ma mi è cresciuta progressivamente la curiosità e la voglia di vedere anche quanto Shakespeare ci fosse in Beckett, se lo si affronta senza pregiudizi: come si fa con un classico».
Ma l’assurdo è incircoscrivibile per definizione, eccolo raddoppiarsi al Teatro Gobetti con Atto senza parole e altri testi, sempre da Beckett, sempre nella traduzione di Carlo Fruttero (con Franco Lucentini e Camillo Penati). Tommaso Bianco, Benedetto Casillo, Gigi De Luca e Franco Javarone, quattro grandi interpreti della scuola partenopea, interpretano sei testi del drammaturgo inglese diretti da Pierpaolo Sepe. In sei atti unici che attraversano un trentennio di attività drammaturgica, i personaggi dibattono comicamente sulle possibilità insite nel suicidio, raggiungono la consapevolezza di un altrove che annienta ogni volontà, accettano impassibili l’essere accomunati da un medesimo e invisibile destino che li spinge verso l’utopia o fanno i conti col fallimento di una vita. Sono, quelli di Beckett, “personaggi senza speranza e senza redenzione – scrive il regista – provati della retorica del dolore, armati di cattiveria e di rancore, colti nell’attimo che precede la risposta, ancora nell’atto di inseguire una possibilità dignitosa di sopravvivenza, un ordine, un senso misterioso”.
Aspettando Godot. Biglietto: 29 euro. Recite dal 3 al 15 maggio con i seguenti orari: martedì, mercoledì, venerdì e sabato, ore 20,45; giovedì, ore 19,30; domenica, ore 15,30; lunedì, riposo. Atto senza parole e altri testi. Biglietto: 22 euro. Recite dal 3 all’8 maggio con i seguenti orari: martedì, mercoledì, venerdì e sabato 20:45, giovedì 19:30, domenica 15:30.
Per info e prenotazioni: www.teatrostabiletorino.it