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Il fallimento delle cantine sociali Asti Nord, un disastro che ha creato danni alla viticultura piemontese per decenni

Redazione Quotidiano Piemontese

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Erano gli anni sessanta, tempo di boom economico. Nell’astigiano nacque un importante movimento cooperativo con in mezzo la Democrazia Cristiana, i parroci, molti produttori di uva speranzosi di un futuro importante e qualche faccendiere di troppo.

Sembrava una riproposizione di successo di un modello che altrove aveva funzionato. Dopo un po’ di anni apparentemente gloriosi iniziarono i problemi economici poi  arresti , processi ,  , fallimenti e soprattutto enormi danni ai contadini.

Molti lasciarono le viti per cercare lavoro nelle piccole e grandi imprese del territorio sfiduciati e preoccupati per il futuro. Ci sono voluti 20anni perchè in certe zone si sia ritentato di parlare di vino e viti. Per molti ora anziani lo scandalo della fallimento delle cantine sociali Asti Nord è stato un disastro.

La storia del disastro Asti Nord, un fallimento che ha lasciato il segno nel racconto di Millevigne

Nel settore vitivinicolo astigiano sta nascendo un grande movimento cooperativo in grado di contrastare il dominio delle cantine private, dei commercianti, dei mediatori. Tra parroci molto zelanti, l’onnipresente apparato della Democrazia Cristiana in cerca di nuovo potere, finanziamenti creditizi troppo facili, si muovono tanti personaggi: un chimico capace e intraprendente, un geometra superattivo, presidenti di cantine sociali che forse delegano troppo, un politico ambizioso.

Tutto dovrebbe funzionare? No! In pochi anni arriva il conto: arresti, processi, contabilità fasulle, fallimenti e soprattutto danni ai contadini. Per una, due vendemmie le uve non vengono pagate. Un esempio di che cosa non si doveva fare, una grande occasione perduta per valorizzare l’Astigiano, il suo territorio e il Barbera.

Tre soggetti danno il via alla rinascita di una parte consistente della cooperazione vitivinicola nel Sud Piemonte a metà anni ’50 del secolo scorso: il clero, la Coltivatori Diretti e la Democrazia Cristiana.

Nel mondo rurale sono ancora presenti i dissesti e fallimenti di molte cantine private e cooperative negli anni ’20. Ci sono antichi timori, dubbi, perplessità. I tre soggetti sopraindicati, ben radicati nelle campagne, si apprestano a giocare le loro migliori carte.

A partire dalla metà anni ‘50 vennero edificate alcune cantine sociali ad opera di un geometra di Calosso, Adge Bianco, definito “progettista tecnologico” per aver realizzato più di quaranta modernissime cantine in tutta Italia.

Il geometra, abile organizzatore, riuscì, non senza l’appoggio di numerosi parroci, a promuovere e dar vita a diverse tra le cantine che formarono poi  il consorzio “Asti Nord” del quale divenne il primo presidente.

Un altro personaggio che lo affiancò quasi subito fu il dottor Giovanni Rolla, chimico enologo, che rimase poi sempre nell’organizzazione con funzioni dirigenti determinanti e che spesso travalicarono le sue specifiche competenze.

Nel gennaio 1958, nello studio del notaio Serra, in piazza Medici in Asti, nasce dopo tante discussioni, progetti, entusiasmi, la “Consociazione Cantine Sociali Asti Nord” sotto forma di consorzio a responsabilità limitata: vi aderirono in un primo tempo le cantine sociali di Piovà Massaia, Celle Enomondo, Ferrere, Settime e Santa Margherita di Costigliole, tutte le società a responsabilità illimitata, rappresentate dai propri presidenti. In seguito diedero la propria adesione al consorzio altre cinque cantine tra cui quella di Chieri, Cisterna, Valle Tanaro, Govone e, infine, nel 1964, quella di Vinchio – Vaglio Serra.

Il geometra Bianco viene nominato per acclamazione Presidente, mentre Rolla sarà il direttore tecnico e commerciale.

Obiettivo prioritario del consorzio: “Unire le forze per vendere meglio il vino, di conseguenza pagare meglio le uve conferite”.  Un dato interessante: due parroci (di Piovà Massaia e Ceretto) entrano nel CdA del nuovo consorzio.

Rolla ha grandi progetti. Il moderno centro d’imbottigliamento unificato a Piovà Massaia, pensa anche alle scelte tecniche da effettuare: migliorare il Barbera, affrontando il problema della sua acidità costituzionale, non sempre gradita al consumatore di altre regioni. Ha già alcune esperienze in proposito, mediante utilizzo di trucioli di pioppo, per l’affinamento dei vini rossi.

Andrà creata una nuova rete commerciale con depositi e rivenditori, dando priorità alle grandi aree metropolitane.

Al di la di tanti progetti e intenti una sola domanda corre sulle bocche di tanti viticoltori. A che prezzo saranno pagate le uve conferite?

La continua, incontrollata, crescita del consorzio “Asti Nord” crea necessità di risorse.

C’è bisogno di un altro fido, la Cassa di Risparmio di Asti lo concede, sono 100 milioni.

Ma i problemi non sono finiti, continua a girare la voce dei bilanci irregolari, dal 1962, qualcuno comincia a chiedere verifiche. La cantina sociale di Ferrere respinge il bilancio del Consorzio “Asti Nord” al 31-8-1964. Troppi hanno sospetti, magari dopo aver visitato il centro d’imbottigliamento di Gallaretto: funzionale, ottimi gli impianti, eccessivo pare il numero delle impiegate nei capienti uffici.

Inoltre gira voce che Rolla abbia per contratto, dalle singole cantine sociali, una lira al litro sul vino venduto, perché consulente tecnico delle medesime.

Si continua a lavorare, cercando di crescere in tutti i sensi, senza preoccuparsi di una corretta e trasparente gestione dei costi e dei ricavi, facendo sempre debiti con le banche che non pensano proprio a interrompere i fidi. Alcuni si chiedono quale sia il ruolo preciso di Araspi. Ha troppe cariche: è consigliere della Cassa di Risparmio di Asti, presidente della Provincia di Asti, insiste di continuo in progetti di ampliamento e sviluppo.

Aumentano ogni giorno i sospetti e le voci d’irregolarità, qualcuno dà per imminente un’ispezione degli istituti di credito, voluta dal Ministero del Tesoro.

La situazione precipita: da un fido di cento milioni si è passati a un debito di cinquecento, soltanto Araspi ne era al corrente, i presidenti delle singole cantine sociali cadono dalle nuvole. E’ il caos.

Nel dicembre 1964 “Asti Sabato”, settimanale della D.C., esce con uno speciale in prima pagina, scrive di bilanci irregolari nel 1962 e nel 1963, altri giornali locali rilanciano subito la notizia. Pare che sia stata la direzione del partito a passare la notizia al giornale.

Alcune banche ritirano subito i fidi. Rolla non capisce più nulla, prima erano sino troppo veloci a concederli, ora li ritirano subito.

Un tentativo presso il Ministro dell’Agricoltura Ferrari – Aggradi per ottenere un finanziamento speciale a fondo perduto non ha seguito.

Ma i problemi si spostano in sede politica: c’è un’accesa riunione nella sede Democrazia Cristiana di Asti, viene tolta la fiducia ad Araspi, l’uomo indicato dallo stesso partito per seguire la cooperazione.

La mozione passa per un solo voto, nella sede la tensione è enorme.

E’in corso una durissima lotta interna al partito, l’esponente della corrente andreottiana l’ha spuntata, sarà lui il candidato alle prossime elezioni politiche. Araspi non conta più nulla.

Il consorzio “Asti Nord “è stato commissariato. Il funzionario governativo Occhionero constata un deficit di ben 1.317. 764. 512 lire. Un volantino diffuso nelle campagne è terribilmente retorico: “Soci dell’Asti Nord le cantine restano aperte per l’immediato ritiro delle uve…”, il finale sembra il proclama del maresciallo Badoglio: “Dal disordine si profila un ordine … Fate fino in fondo il vostro dovere”.

Nessuno aderisce. Pochi mesi, il Consorzio “Asti Nord” cessa di esistere, lo seguiranno alcune cantine associate.

L’Asti Nord era diventata una vera e propria azienda a fini commerciali, in violazione del proprio statuto.

Nelle vasche furono trovate tracce di vini meridionali, di enocianina e anche residui della lavorazione delle ciliegie presso una  nota industria conserviera astigiana.

Un episodio emblematico: ventotto recipienti di vini, che pur essendo vuoti furono spacciati per pieni in occasione di una verifica di giacenza ad opera del Collegio dei Sindaci, per aumentare il valore effettivo delle giacenze.

Invero, a distanza di molti anni, emerge il fatto che il sistema su cui si basava il consorzio “Asti Nord” faceva comodo a tutti: ai partiti e ai sindacati agricoli che crescevano in consensi e iscritti, ai tecnici, ai dipendenti e al vasto indotto che continuava a fornire beni e servizi a prezzi non certo concorrenziali. Aggiungo che i viticoltori soci ricevevano, negli anni d’oro, un prezzo per le uve conferite superiore al libero mercato. L’Asti Nord era diventata una voragine di debiti. Oltretutto, salvo rare eccezioni, nessuno controllava nessuno (1), in quanto il meccanismo perverso instaurato faceva comodo a tutti. Tutto perfetto! Certo! Peccato che pagasse Pantalone. Non poteva finire diversamente.

Nel 1969 il giudice Bozzola di Asti spicca mandato di arresto per ventiquattro presunti responsabili del dissesto Asti Nord; dopo un periodo di detenzione di circa trenta giorni ottengono la libertà provvisoria. Il processo li vede prima condannati e poi, in appello, assolti da varie imputazioni tra cui bancarotta fraudolenta e falso in bilancio.

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