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La paradossale riforma Gelmini: i ricercatori non possono laurearsi

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La laurea appesa a un comma: succede anche questo in un Paese dove – tra riforme e controriforme – il mondo del’istruzione è continuamente bersaglio di esperimenti legislativi, presunte rivoluzioni e resistenze di casta. Il comma in questione è contenuto nella legge 240, la cosiddetta riforma Gelmini, e parte da un semplice (e paradossale) assunto: prevede l’impossibilità per gli assegnisti e i ricercatori di proseguire nel proprio percorso scolastico con effetto retroattivo. Infatti non soltanto non permette l’immatricolazione agli assegnisti, ma impedisce anche a coloro che negli anni precedenti si erano iscritti di terminare il percorso intrapreso. Come ogni ateneo che si rispetti anche Torino ha la sua vittima prescelta: A.P, ricercatore precario al Politecnico, che nel 2008 aveva deciso – incautamente, visti gli esiti – di iscriversi a un nuovo corso universitario.

“Ho provato a chiedere all’università – ha raccontato il ragazzo a Nuova Società – ma mi è stato detto che pur nell’ambito d’autonomia dell’ateneo, la legge non concede soluzioni valide al mio caso. L’unica possibilità per completare gli esami sarebbe rinunciare al contratto da ricercatore, ma ovviamente è un’ipotesi che non posso prendere in considerazione”. A.P. ha scoperto di non potersi iscrivere al nuovo anno quando gli mancavano solo quattro esami alla laurea: “La mia situazione non è comune e ciò rende più difficile intraprendere azioni per far valere un diritto che dovrebbe essere inviolabile”. Dovrebbe, in un Paese che non avesse fatto del paradosso del comma 22 la propria regola principale.

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