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Cultura

“Ruggine” di Gaglianone scuote la platea del Festival di Venezia

Davide Mazzocco

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Ruggine, il film che ha aperto le Giornate degli Autori, ha scosso la platea del Festival del Cinema di Venezia che gli ha tributato un lungo applauso a fine proiezione. Conoscendo i precedenti lavori e la poetica del regista Daniele Gaglianone non poteva essere altrimenti. Anconetano di nascita ma torinese da sempre, Gaglianone è uno dei maggiori esponenti di un cinema realista che affonda le mani nel quotidiano urticando lo spettatore, mettendolo di fronte a temi importanti di resilienza e resistenza, con e senza la maiuscola. Dall’esordio nel lungometraggio con I nostri anni è trascorso un decennio, sette anni, invece, separano Gaglianone dall’ultima presenza sulla passerella di Venezia con lo splendido Nemmeno il destino. Dopo lo sconvolgente Pietro, girato in poche settimane con un budget ridottissimo, Gaglianone ha fatto con Ruggine quel salto di qualità che molti si attendevano da lui. E lo ha fatto, si badi bene, tenendo fede alla propria idea cinema, a una poetica che non fa sconti agli spettatori. Più che il realismo semplicistico di Ken Loach, Gaglianone sembra avere come modello il radicalismo dei fratelli Dardenne. Ma, grazie a un sapiente utilizzo del montaggio e una grande sensibilità nella direzione degli attori, i suoi film non lasciano mai l’impressione di una pura e semplice descrizione della realtà. È un risvolto che non ci si attenderebbe da un regista abituato ad alternare fiction e documentari. Ma è lui stesso a voler abbattere questo steccato che sembra avere sempre meno senso nel cinema del terzo millennio. La grande novità di Ruggine è, piuttosto, nello spessore del cast che vede all’opera Stefano Accorsi, Filippo Timi, Valeria Solarino e Valerio Mastrandrea.

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Ruggine si svolge in una città del nord Italia, alla fine degli anni Settanta. È estate. In un quartiere di periferia abitato da immigrati meridionali e del nord est, una banda di bambini, capitanata dal siciliano Carmine, passa il tempo tra giochi e scontri con altre piccole bande. I bambini giocano a fare gli adulti nel Castello, due vecchi silos arrugginiti. Quell’estate nel quartiere arriva un nuovo medico, il dottor Boldrini, un elegante e aristocratico signore per il quale la gente della zona prova soggezione e ammirazione. Soltanto Carmine e i suoi amici, Sandro, Cinzia, Betta, Andrea e Tonio, con la loro illuminata innocenza, si rendono conto della reale natura dell’uomo che si rivelerà ben presto l’orco di questa storia. E a trent’anni di distanza, Carmine, Sandro e Cinzia dovranno fare i conti con il loro passato.

“Come raccontare la storia di Ruggine? – spiega Gaglianone – Posso partire dalle favole, che anche se le associamo ai bambini e ad un’età che vogliamo preservare come innocente, raccontano a volte storie terribili e spaventose; e come accade spesso nelle fiabe, in questa storia un gruppo di bambini incontra l’orco, l’uomo nero. È la storia di una battaglia contro il male assoluto che divora l’infanzia. Il film ha una struttura particolare; ci sono quattro percorsi che si incrociano, uno riguarda il passato e tre si svolgono nel presente, ma il rapporto fra le due dimensioni temporali non è mai di dipendenza ovvero il passato non è mai un flash back così come il presente non è mai un flash forward. Tranne nel finale, quando i protagonisti si ritrovano a fare i conti con i propri fantasmi in modo diretto, il passato diventa un ricordo, un frammento della memoria, per quanto bruciante e vivo. Si tratta di una storia di amicizia che sopravvive nel tempo e anche di un tentativo di riconciliazione con se stessi e i propri fardelli. Può anche essere letta come un’allegoria sul potere, sulla soggezione che proviamo nei suoi confronti e di quanto sia alto il prezzo da pagare se si decide di combatterlo”.

Il tema della pedofilia – che a Venezia era già stato trattato qualche anno fa dall’inconcludente e pasticciato La bestia nel cuore di Cristina Comencini – diventa, quindi, l’ennesimo capitolo del percorso di un autore poliedrico ma guidato da un perpetuo interesse per il mondo degli emarginati, dei deboli e degli offesi: “Perché ho voluto immergermi in questa storia? – continua il regista – Quando ho letto l’omonimo romanzo di Stefano Massaron mi sono sentito a casa, nel senso che quei bambini e quel quartiere li sentivo vicini a ciò che io e miei coetanei eravamo stati alla fine degli anni Settanta nella periferia di Torino. E poi uno dei temi del film riguarda qualcosa che esercita su me una forte suggestione; quali tracce lascia dentro a una persona un’esperienza drammatica? Come si sopravvive all’incontro con il male? Come cambia la relazione con il mondo che ci circonda, indifferente alla guerra che ormai “solo io so di aver combattuto”? O forse, al di là di tante parole, potrei trovare una risposta in un incontro casuale che ho avuto un paio di mesi fa e che ha illuminato retroattivamente il viaggio di questo film. Ero andato a presentare Pietro, un mio film del 2010, in una cittadina vicino Torino; alla fine del dibattito si avvicina un uomo e mi saluta con gli occhi lucidi. Lo riconosco, nonostante siano passati tanti anni. Era il “mio” Carmine, il capo della piccola banda della mia via. Era venuto a vedere il film perché aveva letto il mio nome. Ci siamo guardati e lui mi ha detto con dolcezza e malinconia: ‘Daniele, quante cose avrei da chiederti, di quante cose ti vorrei parlare’. Poi si è girato e si è allontanato. Io sono rimasto in silenzio. Anche i miei occhi erano diventati lucidi”.

Ruggine viene proiettato a Torino nei cinema Massimo (16, 18:10, 20:20 e 22:30) e Nazionale (15:30, 17:40, 19:50 e 20:00).


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