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Cultura

Rata Nece Biti, viaggio negli incubi della ex Jugoslavia

Davide Mazzocco

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Nel libro che accompagna l’uscita del suo Rata Nece Biti, Daniele Gaglianone racconta di come un responsabile di una grande casa editrice si sia rifiutato di pubblicare il documentario perché, dal suo punto di vista, questo era privo di regia e pieno zeppo di primi piani. Aggiunge Gaglianone come questi abbia citato Hitchcock e la tesi secondo la quale i primi piani sono il rifugio dei registi a corto di idee. Incassato il sillogismo Gaglianone ha replicato citando John Ford, uno, per intenderci, che ha fatto della Monument Valley la Monument Valley: “Il paesaggio più interessante del mondo è la faccia di un essere umano”. In questo senso, i paesaggi su cui si sofferma la camera a mano nelle quasi tre ore di Rata Nece Biti sono paesaggi segnati in profondità dal conflitto. Il film si apre con un monologo di quasi mezz’ora nel quale Zoran racconta di come, per lui, la guerra sia cominciata durante una puntata dei Simpson e, ancora, di come quell’evento segni, a livello inconscio, un ineliminabile spartiacque: “Qui si dice l’ho conosciuto prima della guerra oppure l’ho conosciuto dopo la guerra”. In un altro frangente Zoran racconta di come il padre militare e la madre infermiera, durante la guerra, camminassero a duecento metri di distanza l’uno dall’altro in modo che uno potesse salvarsi in caso di esplosione. Depurate da qualsiasi fronzolo e dalla benché minima retorica, le interviste offrono soltanto la nuda verità del racconto.

Gaglianone pedina, preparato sulla storia e sul contesto, ma non sulle specificità dei luoghi che attraversa. Incrocia un pastore reticente che pare voler tenere per sé la propria storia ma, poi, lo segue durante un pascolo e questi lo conduce ad un’altura dalla quale può vedere la valle percorsa in lungo e in largo durante la guerra. E lì, soltanto lì, il pastore inizia a parlare. Soltanto un occhio disattento può affermare che Rata Nece Biti non abbia una regia. Pur nella sua ruvida essenzialità il documentario è illuminato da intuizioni. Come quando Gaglianone sceglie di far coprire la voce dell’addetta dell’International Commission of Missing Persons dai rumori di fondo, mentre questa spiega con freddezza il lavoro di ricomposizione dei resti umani dissotterrati dalla fosse comuni. Oppure quando sceglie di far sentire le voci di Karadzic, di Milosevic e di Itzebegovic in un lungo camera car per non rubare con le immagini di repertorio l’attenzione da riservare alle loro parole.

Anche se è un documentario fluviale, anche se si svolge fra Serbia e Bosnia, Rata Nece Biti è, in tutto e per tutto, un film di Gaglianone. La guerra partigiana è stata sostituita dal conflitto serbo-bosniaco, l’emarginazione delle periferie è la stessa alla quale si condannano, reciprocamente, le etnie non pacificate dell’ex Jugoslavia, i ragazzi senza futuro di Nemmeno il destino e Pietro hanno lo sguardo dagli orizzonti limitati di quelli di Sarajevo, città che proprio vent’anni fa, il 5 aprile 1992, fu attaccata per la prima volta dalle forze paramilitari serbe. E il confine fra i film di finzione e i documentari è più sottile di quanto sembra. Perché è sempre il regista che sceglie come, dove, quando e perché accendere la camera.

Rata Nece Biti di Daniele Gaglianone è in vendita a 12,75 euro sul sito della casa Editrice Derive e Approdi. Insieme al film è allegato un libro-reportage con testi dello stesso Daniele Gaglianone (regista del film), Luca Rastello (scrittore e giornalista torinese), Nicole Janigro (saggista) e Gianfranco Bettin (scrittore).

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