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Cultura

La discussione sulla competenza nelle nomine agli enti culturali: il casi di Venaria Reale, del Castello di Rivoli e del Museo Egizio

Redazione Quotidiano Piemontese

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rovine-italia-colosseoNella polemica in corso a riguardo del compenso di Giovanna Melandri come presidente del Maxxi nata da un articolo di Gian Antonio Stella, Tomaso Montanari, professore associato di Storia dell’arte moderna all’università di Napoli, ha scritto una lettera in cui riflette sul ruolo della competenza nella nomina degli enti culturali italiani e in cui cita esplicitamente le nomine di Fabrizio Del Noce a Venaria Reale, di Giovanni Minoli al Castello di Rivoli e di Evelina Christillin al Museo Egizio. chiedendosi quanto in questi casi conti un’appartenenza politica, sociale, corporativa piuttosto che la competenza competenza.

Le riflessioni di Gian Antonio Stella sul compenso che Giovanna Melandri avrebbe voluto autoerogarsi come presidente del Maxxi hanno colto un punto vivo e dolentissimo della politica culturale italiana. E il punto non è la pessima figura di chi prima dice di accettare un incarico «totalmente gratuitamente» e poi, ma solo a posteriori, precisa che il fioretto sarebbe scaduto dopo un anno (come un maxxi-yogurt). E non è nemmeno la due volte pessima figura di chi minaccia querele preventive verso chiunque osi insinuare che il cambio di statuto che trasforma il museo in ente di ricerca fosse finalizzato proprio a creare le condizioni per il maxxi-stipendio.

No, il punto vero è: qual è il ruolo della competenza nella macchina della cultura italiana? Nel momento stesso in cui il Maxxi diveniva un ente di ricerca, Giovanna Melandri avrebbe dovuto dimettersi: semplicemente perché non ha alcuna competenza in materia di ricerca (sull’arte contemporanea, come su qualunque altro campo). Il Maxxi si mantiene grazie ai fondi erogati dal Ministero per i Beni Culturali, cioè dallo Stato. Lo stesso Stato che nelle sue università sforna ogni anno migliaia di laureati e dottorati di ricerca in storia dell’arte contemporanea. Alcuni dei quali bravissimi, e destinati ad andare all’estero o a lavorare in campi remotissimi dalla loro competenza. Contemporaneamente alcuni posti chiave della cultura italiana sono lottizzati su base politica.

Penso al caso estremo del direttore dei Girolamini a Napoli che, senza essere laureato ma essendo consigliere di ben due ministri per i Beni culturali, ha potuto svaligiare la biblioteca. Ma penso anche a casi – lontani anni luce dai Girolamini, sia chiaro – come Venaria Reale presieduta da Fabrizio Del Noce, come Rivoli presieduto da Giovanni Minoli, come il Museo Egizio presieduto da Evelina Christillin. Ha un senso che in tutti questi casi l’appartenenza (politica, sociale, corporativa che sia) prevalga sulla competenza? Non sarebbe meglio avere uno storico dell’arte a Venaria, un contemporaneista a Rivoli, un egittologo a Torino? È così che sosteniamo la concorrenza internazionale? È questa la nostra idea di «cultura»? È questa l’Italia che vogliamo costruire?
Potremmo discutere a lungo sulla nomina del direttore cinese del Maxxi, sullo stipendio della sua presidente e sul trasporto di quest’ultima per lo yoga. Ma il vero è nodo è il disprezzo della competenza che devasta il nostro Paese, e che mette in fuga i migliori tra i nostri giovani. Questo è l’unico vero punto di cui dovremmo discutere.

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