Cronaca
Criminalità organizzata: in Piemonte comanda la ‘ndrangheta – Il rapporto della Commissione Antimafia
nel loro insieme come il vero patrimonio attuale dei gruppi e degli interessi mafiosi”. La scelta dei piccoli comuni e quindi delle piccole economie locali è una scelta strategica che paga “per l’inesistenza o per la debole presenza di presidi delle forze dell’ordine; per il cono d’ombra protettivo steso sulle attività criminali per un interesse oggettivamente ridotto assegnato alle vicende dei comuni minori dalla grande stampa e dalla politica nazionale. E infine perché nei piccoli centri bastano poche preferenze per l’accesso alle amministrazioni locali”.
Il Piemonte è una tra le regioni del Nord “più penetrate, benché in forme e a livelli assai diseguali, dal fenomeno mafioso”, un fenomeno che le recenti inchieste “Minotauro” e “Alba Chiara” hanno contribuito a porre sotto la luce dei riflettori, evidenziando come esista “un radicamento molto forte soprattutto nella città di Torino e nella sua provincia ma anche nel basso Piemonte”. Nella nostra regione la ‘ndrangheta ha un ruolo di primo piano e sono 15 le cosiddette “locali”, vale a dire le strutture della malavita che riuniscono più ‘ndrine sul territorio. Il rapporto che la Commissione Antimafia discuterà oggi e domani a Torino parla di 135 beni confiscati nel capoluogo, 51 nel resto del Piemonte, numeri che ne fanno la seconda regione per numero di confische dietro la Lombardia.
La ‘ndrangheta non è stata neppure lontanamente sconfitta, ma si conoscono nomi e cognomi delle principali famiglie che operano nell’area: Pesce-Bellocco (Rosarno), Mazzaferro, Morabito, Bruzzaniti, Palamara (Africo), Barbaro, la maggioranza delle quali proviene da due delle roccaforti della malavita calabrese, Locri e Platì. Un biglietto da visita facile da riconoscere, ma molto spesso complicato da rifiutare.