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Si ammala di Sla, chiede il riconoscimento dell’invalidità, muore prima di avere risposta. Storie di ordinaria follia burocratica

Redazione Quotidiano Piemontese

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Non basta ammalarsi in modo grave e irreversibile, capita anche di non riuscire a ottenere ciò che è dovuto. È successo a un signore di Rosta, ammalato di Sla, la sclerosi laterale amiotrofica che colpisce soprattutto gli sportivi, nel luglio scorso. La malattia l’ha reso praticamente subito inabile, quindi la decisione di richiedere la visita per la verifica dell’invalidità. Visita a cui il signor P.M. si presenta sorretto dalla moglie, cieca, perché il bustino con cui ha imparato a convivere non è più sufficiente a tenerlo in piedi.

La visita si svolge come da prassi: controlli motori, test e un “arrivederci le faremo sapere”. La legge dice che quel “le faremo sapere” non dovrebbe andar oltre i 60 giorni. Passano le settimane: le condizioni peggiorano, inizia a usare il respiratore e il decorso della malattia è uguale a tanti altri casi. Passano due mesi, poi altri due. Lo scorso febbraio, il signor P.M. muore. Della sua richiesta di invalidità nessuna traccia. Sono passati sette mesi e ancora oggi, anche se non servirebbe più, nessuna risposta.
“Il problema sta tutto nelle procedure – ammettono all’Inps – che dovrebbero essere informatiche, ma in realtà non lo sono e ci troviamo a dover smaltire tonnellate di carte”. È di novembre infatti la firma della convenzione con la Regione Piemonte che avrebbe dovuto, tra le altre cose, agevolare la condivisione dei dati e fluidificare le praticare: l’obiettivo era ridurre a poche settimane i tempi d’attesa per la certificazione dell’invalidità. Obiettivo che per ora è disatteso: “I verbali ci arrivano cartacei – spiega Inps – ma il nostro sistema li chiede in digitale: abbiamo perciò dovuto appaltare a una ditta specifica la conversione in file e ora stiamo ricevendo i primi riscontri”. Si tratta di oltre 60 mila domande e per ora i file realizzati dalla Postel sono appena 6 mila. La situazione però dovrebbe sbloccarsi, anche se al momento ci sono oltre 35 mila pratiche in arretrato.

Un problema non da poco, perché altre domande arriveranno quest’anno e a queste si aggiungono le pratiche per la verifica di chi gode già delle indennità, ma finisce – per una verifica a campione – sotto la lente dell’Inps che ha ingaggiato la campagna contro i falsi invalidi. “Sono due partite differenti” spiegano da Inps, ma a ben vedere è carta che si aggiunge a carta.

Anche qui le trafile non sono fluide: in base alle modalità di campionamento vengono richiamati a visita tutti gli invalidi, anche quelli che per legge sarebbero esclusi: come Gabriele Piovano, un giovane affetto da spina bifida che ha dovuto però sottoporsi a visita e consegnare attestati e documenti per dimostrare una disabilità evidente oltreche inguaribile. “Alle patologie gravi, inguaribili è richiesta comunque la verifica, ma possono inviare la documentazione piuttosto che presentarsi alla visita” precisano dall’Inps.

Peccato che la documentazione richiesta sia colossale e debba essere riferita al momento della prima diagnosi. Ecco che quindi malati, disabili, ciechi totali dovrebbero ingaggiare una ricerca di certificati, vecchi anche di quarant’anni, rilasciati da ospedali che magari non ci sono nemmeno più. “Uno sforzo gravoso, che molti non sono in grado di affrontare – attacca Pericle Barbis, vicepresidente dell’Apri, l’associazione che raccoglie ciechi e ipovedenti – e che ha dei costi, anche economici immensi. Quella contro i falsi invalidi è una lotta sacrosanta, ma non possiamo essere tutti criminalizzati, quasi che fosse un piacere dover convivere con le nostre patologie”.

Una colossale macchina di carte e burocrazia che rischia di finire in una bolla di sapone. Almeno in Piemonte le verifiche effettuate nel 2009: 3382 visite e 190 revoche; nel 2010 357 revoche a fronte di oltre 6100 conferme. Ma c’è chi è pronto scommettere che saranno tutte reintegrate con i ricorsi o le class action delle associazioni che hanno già promesso battaglia.

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