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Cultura

Parag Khanna: “Vi spiego perché con Bin Laden gli Stati Uniti non hanno sbagliato nulla”

Davide Mazzocco

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Prima della conferenza stampa di presentazione del libro di Parag Khanna fra il pubblico serpeggiava qualche sorrisetto carico di perplessità: vuoi per il titolo ambizioso – Come si governa il mondo –, vuoi per la giovane età del relatore, 34 anni. Ma quando il direttore della Global Governance Initiative, nonché consulente dell’amministrazione Obama, ha iniziato a spiegare i meccanismi che regolano la diplomazia internazionale, ogni scetticismo si è sciolto come neve al sole. Alla base del prezioso lavoro di Khanna c’è la tesi secondo la quale dopo il crollo del mondo unipolare, con il declino dell’egemonia statunitense, gli assetti internazionali non torneranno indietro. E non solo: sulla scena della diplomazia mondiale le grandi Ong, Greenpeace o addirittura entità immateriali come Wikileaks potranno avere un’influenza superiore a quella di alcuni governi. Ecco i temi più interessanti e attuali toccati da Khanna nella presentazione – moderata da Federico Rampini – del libro edito da Fazi.

Wikileaks. “Quando a Londra fu utilizzato per la prima volta il telegrafo, il primo ministro britannico disse che quella sarebbe stata la fine della diplomazia. Da duecento anni a questa parte c’è sempre stata una rincorsa fra chi deve mantenere la segretezza e chi, invece, cerca di eluderla sfruttando le falle dei nuovi mezzi di comunicazione. Wikileaks ha scatenato un acceso dibattito fra i sostenitori della trasparenza e chi, invece, afferma la sacralità dell’autorità del governo. Io non credo che tutti i segreti vadano rivelati ma è altrettanto vero che il caso Wikileaks ha dimostrato come molte cose tenute sotto segreto siano in realtà semplici banalità. La trasparenza è corretta, rivelare tutto a tutti come ha fatto Julian Assange no. Fra gli Stati Uniti e il resto del mondo c’è una differenza sostanziale: negli States la diplomazia si occupa di alta politica, mentre, se in futuro vi saranno omologhi di Wikileaks in Francia, Italia e Giappone, molto probabilmente i dispacci si occuperanno di business e di aspetti prettamente commerciali”.

La morte di Bin Laden. “La mia esperienza di consulente per l’amministrazione statunitense risale al 2007 quando operavo, proprio in Afghanistan, con le truppe del generale McChrystal. Anche se gli eventi successivi alla morte di Bin Laden hanno lasciato l’impressione di una sostanziale rapidità, in realtà tutto ciò che è avvenuto è stato il frutto di decisioni meditate a lungo. Sono d’accordo sia con la decisione di uccidere Bin Laden senza un giudizio in un tribunale, sia con la scelta di consegnare il corpo al mare e, anche, con quella di non mostrare le foto del cadavere. Sono d’accordo dal punto di vista razionale e strategico e voglio motivare i tre aspetti. Uno. L’assassinio non è un segno di barbarie ma, al contrario, di progresso poiché in passato, per dare alla caccia a un singolo uomo, si dichiarava guerra a un intero paese facendo numerose vittime, anche fra la popolazione civile. Due e tre. Quando i gruppi terroristici reclutano nuovi adepti usano immagini di martirio. Se gli Stati Uniti non avessero agito come hanno fatto con il corpo e con le foto di Bin Laden si sarebbe creata un’iconografia del martirio e un luogo di attrazione per il terrorismo. Già prima dell’uccisione di Bin Laden, Al Qaeda aveva palesato un indebolimento, attualmente, per esempio, il gruppo terroristico pakistano dell’attentato a Mumbai è molto più potente. Dico questo perché pensare di contrastare il terrorismo a livello globale è un errore di approccio perché, al giorno d’oggi, il terrorismo è un fenomeno locale al 99%”.

La primavera del Nord Africa. “Le rivoluzioni che hanno scosso il Nord Africa negli ultimi mesi erano inevitabili. Non sono stati né Obama, né Wikileaks, né i fruttivendoli tunisini a innescare questo processo, quel che è accaduto è semplicemente il collasso post-colonialista che prima o poi sarebbe dovuto avvenire. Personalmente sono favorevole al fatto che questi paesi si gestiscano autonomamente, sapendo di poter contare su Usa e Ue nei loro processi di rinnovamento. L’idea degli Stati Uniti come poliziotto del mondo è piuttosto semplicistica così come lo è quella secondo la quale, riguardo alla Libia, Obama avrebbe lasciato carta bianca all’Unione europea. Non è così: gli Stati Uniti non sapevano semplicemente cosa fare. Ora gli equilibri in quest’area cambieranno e loro dovranno trovare nuovi canali di dialogo con gli interlocutori della regione”.

Il caso italiano. “Il modello italiano potrebbe essere applicato molto bene ai paesi arabi coinvolti nei processi di rinnovamento politico. Questo perché l’Italia è un modello di salutare caos democratico e questa situazione garantisce una notevole stabilità”.

Unione Europea. “Il valore maggiore dell’Unione europea è la natura regionalistica delle sue decisioni e questo fa sì che essa sia un modello per quanto riguarda la tutela dei diritti umani e la qualità della vita. L’Ue è un punto di riferimento per i processi di regionalizzazione che, con questo modello economico, saranno fondamentali per la sopravvivenza dei piccoli paesi. L’Europa mantiene un atteggiamento di dialogo con il capitalismo ma lo bilancia con l’accortezza riservata all’eguaglianza dei diritti. La Cina ruba la tecnologia agli Stati Uniti ma la sua ambizione è diventare la Germania”.

Cina. “Chi propone il G2, cioè un assetto basato su di una funzione guida di Stati Uniti e Cina, deve mettere in conto che una soluzione del genere porterebbe a una nuova guerra fredda. L’assetto mondiale è quantomeno tripolare con Usa, Europa e Cina ma ci sono altri attori che si stanno affermando negli equilibri geopolitici. E consideriamo un’altra cosa: prima o poi, come accade a tutte le superpotenze, anche la Cina accuserà il contraccolpo della sua espansione economica. Un esempio? I paesi africani che forniscono mandopera e risorse alla Cina stanno aprendo un dialogo con Taiwan per poter avere un maggiore potere contrattuale nelle trattative con i cinesi”.

 

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