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Al cinema “Il pezzo mancante”, film sulla famiglia Agnelli. Intervista al regista Giovanni Piperno – Video: il trailer

Davide Mazzocco

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Fedele a un cinema autoriale che sarebbe riduttivo ascrivere alla categoria del documentario, Giovanni Piperno continua anche con Il pezzo mancante, in uscita nei cinema italiani venerdì 17 giugno, a raccontare storie. Lo fa con la sensibilità di chi è capace di passare dal disagio della povertà (Il film di Mario, con Agostino Ferrente) a quello della malattia mentale (Cimap!  – Cento italiani matti a Pechino), dall’abusivismo edilizio (L’esplosione) al  cinema di Bollywood (Un thé sul set), ma lo fa anche con la tecnica di chi si è fatto le ossa come assistente operatore dando una mano a registi del calibro di Martin Scorsese, Terry Gilliam e Nanni Moretti. Presentato all’ultimo Torino Film Festival, Il pezzo mancante racconta le vicende della famiglia Agnelli ribaltando il luogo comune secondo il quale la storia la scrivono i vincitori. Ecco, almeno in questo film, l’attenzione non è rivolta ai vincenti ma ai più deboli e alle debolezze dei forti.

Il trailer del film

Com’è nata l’idea di fare questo film e di approcciare la famiglia Agnelli in maniera così singolare?

Il film è stato ispirato dal libro Casa Agnelli di Marco Ferrante, l’unico volume in cui si parla di Giorgio, fratello di Giovanni, Umberto e Susanna, morto 36enne dopo una lunga degenza in una clinica psichiatrica. In realtà se ne parlava anche in Agnelli l’irresistibile di Marie-France-Pochna ma il volume (edito nel 1990, ndr) scomparve ben presto dalle librerie italiane. Il libro di Ferrante, invece, è uscito dopo la morte di Giovanni Agnelli. Questa è stata la base. L’inizio del lavoro, tre anni fa, è coinciso con un momento di tensione della famiglia dovuto all’eredità, all’investitura di John Elkann a presidente della Fiat e il mio progetto, in qualche modo, li ha spaventati. Gli Agnelli sono sempre stati molto riservati e nella prima fase di lavoro le mie richieste di collaborazione non sono state accolte. In passato io ho sempre lavorato sulla vita quotidiana seguendo i miei protagonisti, senza immagini di repertorio. In questo caso non è stato possibile. Nella costruzione del mio film sugli Agnelli  senza gli Agnelli cercavo elementi che dessero una coesione e una universalità alla narrazione e li ho trovati nel meccanismo della rimozione.

Ci spieghi meglio.

La storia della famiglia Agnelli non è diversa da quella di qualsiasi altra famiglia. Ogni famiglia rimuove qualcuno dalla propria storia passata e ciò, come spiega un esperto di costellazioni famigliari nel mio film, comporta che questa cancellazione si ripercuota su qualcun altro.

Dunque la famiglia Agnelli ha preso le distanze dal progetto.

Solamente in un primo tempo. Una volta normalizzatasi la questione dell’eredità e con John Elkann alla presidenza della Fiat, la famiglia ha capito che il mio film non avrebbe avuto né un taglio scandalistico e aggressivo, né un approccio “a teoria”. Nel film ci sono immagini tratte dall’archivio di Cinefiat che mi sono state donate e che sono pressoché inedite.

C’è una scena particolarmente interessante. In un’intervista Gianni Agnelli ammette di avere ricordato la tragicità della Seconda Guerra Mondiale solamente dopo aver visto Salvate il soldato Ryan.

Nel mio film ho trovato molte tracce che hanno confermato l’ipotesi di un uomo costantemente in fuga dalle cose dolorose. Nell’intervista in questione la voce di Agnelli s’incrina parlando della guerra. Durante la sua esperienza militare gli morì accanto un tenente ma di questo episodio Giovanni Agnelli non ne parlava mai, preferiva ricordare l’aspetto cavalleresco. Nella stessa intervista parlando del nonno dice che, dopo la morte di suo padre Edoardo, non vi era molta scelta su chi investire del ruolo di guida della Fiat; parla di un unico fratello con quindici anni in meno, Umberto, mentre Giorgio, che di anni in meno ne aveva cinque, è completamente cancellato. Il discorso sulla rimozione si può ampliare dalla famiglia Agnelli a tutto il nostro Paese. L’Italia compie ciclicamente una rimozione. Si pensi al fascismo e ai personalismi più recenti: gli italiani cercano una figura paterna e a essa delegano ogni responsabilità. Poi si svegliano da questa sorta d’incantesimo e rimuovono completamente questa figura. E così non crescono mai. Per 40 anni si è fatto lo stesso con Agnelli: per metà degli italiani era un modello, per l’altra metà un nemico. Ma in poco tempo è stato completamente dimenticato.

Nel tuo film le interviste d’archivio e quelle nuove, le immagini di repertorio e i frammenti di trasmissioni televisive sono raccordati fra loro da animazioni estremamente efficaci. Come mai questa scelta?

Non è una scelta dettata dalla moda che si sta diffondendo di inserire animazioni nei documentari. Il fatto è che riempire il film di parole o usare il voice over sono due soluzioni che non mi entusiasmano particolarmente. L’esigenza era quella di spiegare cose molto complicate senza annoiare: l’animazione “muta” in cui si spiega il rapporto fra Gianni e Umberto dura soltanto 55 secondi ma, grazie all’ottimo lavoro del gruppo di Embrionet, risulta più efficace di una qualsiasi spiegazione “tradizionale”.

Qual è il ruolo di Gelasio Gaetani Lovatelli?

Beh, Gelasio è l’uomo che ha salvato il film. Quando la famiglia Agnelli era piuttosto refrattaria a collaborare al mio progetto lui mi ha messo in contatto con alcuni degli amici dell’entourage londinese. Sarebbe stato molto difficile avere un ritratto ufficiale di Gianni senza il suo aiuto.

Ma allora qual è il pezzo mancante?

Nel mio film ce ne sono tanti. Tocca allo spettatore scegliere.

 

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