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Cultura

L’era legale, il mockumentary sulla Napoli del 2020

Davide Mazzocco

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Isabella Rossellini, Renzo Arbore, Giancarlo De Cataldo, Carlo Lucarelli ma anche Bill Emmott dell’Economist, Marcelle Padovani de Le Nouvel Observateur, il capo della procura nazionale antimafia Pietro Grasso, questi e altri personaggi sono fra gli intervistati de L’era legale, il film di Enrico Caria su Nicolino Amore.  Mockumentary a metà strada fra Prendi i soldi e scappa di Woody Allen e Forrest Gump, il finto documentario presentato questa mattina al Torino Film Festival racconta la storia del sindaco Nicolino Amore, artefice della rivoluzione culturale nella Napoli degli anni Dieci. La picaresca ascesa di questo sindaco venuto “dal basso” ha il volto di Patrizio Rispo, da quindici anni protagonista di Un posto al sole. Guantaio, montatore di impalcature, cameriere e filosofo, durante una permanenza in Inghilterra Amore si innamora delle idee libertarie e, tornato in patria, si butta in politica ottenendo un inatteso successo alle elezioni comunali. Il suo Movimento Alto (che non guarda né a destra, né a sinistra) deve far fronte a numerosi problemi, dall’emergenza rifiuti alla morsa della camorra sull’economia locale. La fantasia e la capacità di adattamento del sindaco generano circoli virtuosi e una rivoluzione culturale “virale” che cambierà per sempre la città.

L’era legale è un pastiche nel quale si mescolano interviste finte a interviste vere (i giornalisti affermano semplicemente ciò che scrivono nei loro articoli), finte trasmissioni in studio, finti servizi televisivi, video di telecamere nascoste, filmati di Youcube (sì, avete letto bene…), più ricostruzioni varie, dai manifesti alle statuine del presepe con il sindaco e persino una fiction in stile Un posto al sole sulla vita del giovane sindaco. Eppure fra le pieghe di questo mockumentary smaccatamente dichiarato (il modello del genere resta Death of President di Gabriel Range sull’attentato a George W. Bush) si affaccia sorniona la discussione sulla mala politica, sulla volgarità imperante della classe dirigente, sulla miopia dei governanti e l’esibita cafoneria della criminalità. Il sogno di una Napoli legalitaria nella quale i lavavetri ai semafori vengono pagati col Bancomat ed emettono regolare ricevuta fa sorridere, ma il monito del sindaco all’ombra del Vesuvio, nella scena finale del film forse va preso sul serio: “La furbizia porta solo all’autodistruzione”.

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