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Economia

Marchionne all’attacco in un’intervista sul Corriere: sindacati, Italia, produzione, finanza

Redazione Quotidiano Piemontese

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In una lunga intervista di Massimo Mucchetti sul Corriere della Sera Sergio Marchionne, ad del Lingotto, parla delle attività in Usa e in Italia dell’azienda torinese. Ecco i passi più importanti che riguardano il futuro di Fiat in Italia e in Piemonte.

E l’Italia?
“Non siamo in condizioni floride. E però il nuovo governo, in pochissimo tempo, ha dato al mondo l’idea di un Paese che sta svoltando. Un successo incredibile. Ero a Washington durante la visita del premier Mario Monti. Ha avuto un’accoglienza straordinaria: Monti è stato un’ora a colloquio con il presidente Obama, ha riscosso grandissima attenzione al Peterson Institute, il think tank più importante. L’America è un animale enorme, che tende a percepire tutti gli altri come piccoli. Non è facile che dia tanta importanza ai suoi ospiti…”.

Silvio Berlusconi attaccava i giudici dall’estero. E lei non certo incoraggiava i capitali internazionali dicendo che la Fiat non poteva investire in Italia per colpa della Fiom.
“Un momento: io non ho mai parlato male dell’Italia. Ho solo riconosciuto quello che non va perché era serio farlo nell’interesse della Fiat, che è un gruppo multinazionale, e, se permette, del mio Paese”.

Se in America le chiedessero: dimmi, Sergio, adesso conviene investire in Italia?
“Conviene investire man mano che le riforme del governo Monti vanno avanti”.

Tra queste spicca la riforma del mercato del lavoro. Che cosa pensa dell’articolo 18?
“Che ce l’ha solo l’Italia. Meglio assicurare le stesse tutele ai lavoratori in uscita in modi diversi, analoghi a quelli in uso negli altri Paesi. Diversamente, le imprese estere non capiscono e non vengono qui a investire”.

E la Fiat che fa?
“La Fiat sta investendo”.

E’ soddisfatto degli accordi sindacali?
“Sì. Ora possiamo lavorare”.

Come mai allora, 14 mesi dopo il referendum, la produzione di Mirafiori scende da 70 mila a 54 mila auto l’anno quando se ne dovrebbero produrre 280 mila? Il progetto Fabbrica Italia, presentato nell’aprile 2010 a palazzo Chigi, appare in ritardo.
“Pomigliano è ripartita. Venga a visitarla: vedrà una fabbrica modello…”.

Senza più iscritti Fiom tra i neoassunti.
“Falso. Si legga il Giornale . Riporta le parole on records di lavoratori che erano iscritti alla Fiom e non ne vogliono più sapere. Ma abbiamo deciso di non parlare più di Fabbrica Italia. Siamo l’unica azienda al mondo da cui si pretendono informazioni così di dettaglio. Gli investimenti li comunichiamo man mano li facciamo. E li facciamo in base al mercato. A Mirafiori, non si lavora per riempire i piazzali di veicoli invenduti. Ma Mirafiori tornerà a regime entro la fine del 2014 con un modello Fiat e uno Chrysler”.

E’ sano che sindacalisti dal seguito non trascurabile siano costretti a uscire dagli stabilimenti portandosi via gli scatoloni come i banchieri della Lehman dopo il crac? Perfino negli anni di Valletta le commissioni interne davano cittadinanza a tutti.
“Lasciamo la storia agli storici. Il quadro anche giuridico era diverso. La Fiom si trova in questa situazione in seguito al referendum del 1995 sulle rappresentanze sindacali, che essa stessa aveva sostenuto, e perché non firma quando pure l’accordo è stato approvato dalla maggioranza assoluta dei lavoratori”.

In un Paese che ha avuto il terrorismo rosso è saggio isolare il sindacalismo radicale?
“Onestamente, non vedo oggi rischi analoghi a quelli di oltre trent’anni fa”.

E se il governo regolasse il diritto di sciopero e le rappresentanze sindacali attuando gli articoli 39 e 40 della Costituzione, e dunque riaprendo le porte delle fabbriche alle sigle che raggiungono un certo quorum?
“Che senso ha schierarsi sulle ipotesi? Qualsiasi riforma non potrà prescindere dall’esigibilità degli accordi approvati dalla maggioranza dei lavoratori. La Fiat sarà coerente con le intese raggiunte con tutti gli altri sindacati e convalidate dalla magistratura. Se si assume le sue responsabilità, la Fiom può rientrare già adesso. Ma temo che Maurizio Landini stia facendo una battaglia politica”.

Difende, dice, i diritti dei lavoratori.
“C’è forse un sindacalista che dica il contrario? In pratica, vedo un Landini più rigido, molto di più del suo predecessore, Gianni Rinaldini, con cui si poteva dialogare”.

Ha mai cercato un chiarimento?
“Ci sono stati incontri riservati con esponenti della Fiom. La sinistra più intelligente ha provato a ricucire. Ma è andata male. Non possono pretendere che, nei fatti, sconfessi Cisl, Uil, Ugl e Fismic”.

In Cgil c’è ora Susanna Camusso.
“Con Epifani si riusciva a ragionare di più. Camusso forse parla troppo della Fiat e di Marchionne sui media e troppo poco con noi”.

Vorrà evitare che nasca una quarta confederazione a egemonia Fiom.
“Io sono un metalmeccanico che fa automobili. E fatica a capire chi considera parlamenti i sindacati. Negli Stati Uniti il capo della Uaw comanda e sa prendere impegni. Lo stesso accade in Germania con l’Ig Metal. E, mi creda, non sono sindacati comodi”.

L’Italia ha la sua storia.
“Di troppa storia si muore”.

L’entità dei suoi compensi fa discutere.
“I miei compensi hanno una parte fissa e una variabile costituita da opzioni sulle azioni Fiat, e dunque legata alle quotazioni del titolo. E’ questa che ha indotto a certi calcoli. In realtà, nel 2004, quando nessuno ci credeva, mi è stato assegnato lo stesso numero di opzioni che aveva Giuseppe Morchio, e un prezzo d’esercizio più alto. Per quattro anni su otto non avevano alcun valore. Se oggi ce l’hanno, dipende dall’andamento del titolo di cui beneficiano tutti i soci”.

Ma c’è un’enorme sproporzione tra i compensi dei top manager e quelli del dipendente medio. Un tempo non era così.
“Trent’anni fa non si era ancora creato un mercato delle competenze manageriali come quello attuale”.

Lo spread tra le obbligazioni Volkswagen e quelle Fiat è superiore al differenziale tra i Btp e i Bund tedeschi. Come mai?
“Ciascun debitore ha la sua storia”.

Infatti, lo Stato italiano ha varato la manovra per risanare i conti pubblici. La Fiat farà un aumento di capitale?
“Non serve. Nel 2012 investiremo oltre 7 miliardi, ma senza aumentare il debito. Useremo semmai un po’ della nostra liquidità…”.

E intanto zero dividendo alle ordinarie .
“E’ il momento di rafforzare il patrimonio. Più in generale, si deve capire che l’auto è un business che, quando tira, genera molta cassa. Già nel 2007 il gruppo Fiat aveva azzerato il debito industriale netto”.

Ne avete abbastanza per reggere la sfida della multipiattaforma Volkswagen per 20 modelli diversi?
“Fiat spende in ricerca e sviluppo il 5,3% dei ricavi La media dei produttori generalisti europei è del 5,7%. Ce la stiamo giocando. La multipiattaforma Volkswagen rientra nei processi di standardizzazione e razionalizzazione comuni a tutti i produttori, anche se c’è chi ha cominciato prima e chi, come noi, un po’ dopo. Ferdinand Piëch è un grandissimo. Ma con le sue 10 architetture, Fiat-Chrysler riuscirà a non sacrificare le prestazioni delle vetture di segmento superiore e a non caricare costi insostenibili su quelle di segmento inferiore. Già nel 2014 metà dei nuovi modelli Chrysler e Fiat verranno da una piattaforma comune”.

Ford e Gm varano piattaforme da 2 milioni di pezzi.
“Oltre il milione le economie di scala tendono a esaurirsi”.

Ma dove sono questi nuovi modelli?
“La Fiat ha scelto di rallentare il lancio dei nuovi modelli per la scarsità della domanda in Europa”.

I concorrenti fanno il contrario.
“Ed ecco che Peugeot-Citroen, Opel, Renault e la stessa Ford Europe perdono soldi nel Vecchio Continente”.

Come voi, del resto. Ma almeno hanno difeso le quote di mercato.
“Ragionando così non si va lontano. Guardiamo avanti. La domanda di automobili in Europa è destinata a rimanere bassa ancora a lungo. Almeno fino al 2014. Le case generaliste hanno troppa capacità produttiva…”.

Secondo il Financial Times , Renault e Psa sfruttano gli impianti al 62%, Fiat al 50%. Volkswagen al 75%.
“Volkswagen è un caso a parte. Ha cominciato 20 anni fa a scalare il mondo e ci sta arrivando. La Francia invece si era illusa di poter reggere tale e quale, magari con i sussidi statali. Ora anche Philippe Varin, il mio collega della Psa, pone il problema dell’eccesso di capacità produttiva in Europa. Ma la Fiat ha una straordinaria opportunità negli Stati Uniti. Che hanno fatto quanto l’Europa si era illusa di poter evitare: chiudere un certo numero di stabilimenti per abbassare i costi fissi in relazione alla domanda attesa nella produzione di massa. Le linee premium, dove eccellono Bmw, Audi, Mercedes, Porsche, ma anche le nostre Ferrari e Maserati, sono tutto un altro film…”.

La Fiat non è riuscita a rilanciare l’Alfa Romeo. Perché non la cede a Volkswagen?
“Perché non la vogliamo vendere. E in ogni caso Piëch vorrebbe solo il marchio”.

Non si prenderebbe un sito produttivo?
“So quel che dico. E l’Alfa ci serve in Usa”.

In Brasile, Serbia, Usa la Fiat trova diversi ma sempre rilevanti aiuti da parte degli Stati. Che cosa si attende dal governo italiano?
“Mi attendo soprattutto che non dia altri incentivi alle rottamazioni. E’ vero, in passato li abbiamo chiesti anche noi. E abbiamo fatto male. Anche perché hanno sostenuto al 70% le vendite dei concorrenti”.

La Fiat Auto ha lasciato Termini Imerese. Le restano Mirafiori, Cassino, Atessa, Melfi e Pomigliano. Se non funzionassero le esportazioni verso gli Usa, quanti sarebbero i siti eccedenti?
“Tutti gli stabilimenti staranno al loro posto. Abbiamo tutto per riuscire a cogliere l’opportunità di lavorare in modo competitivo anche per gli Stati Uniti, ma se non accadesse dovremmo ritirarci da 2 siti dei 5 in attività”.

Quali?
“Ricorda Sophie’s choice? Nel film, alla fermata del treno il nazista chiede a Sophie uno dei suoi due figli. In caso contrario li avrebbe ammazzati tutti e due. Sophie resiste, ma alla fine deve scegliere e passa il resto della sua esistenza con l’incubo di quella decisione. Dunque, per favore, non me lo chieda”.

LA RISPOSTA DELLA FIOM. “Dopo l’intervista rilasciata dall’ad Sergio Marchionne, il governo ha almeno due ragioni principali per convocare la Fiat”. A sottolinearlo il responsabile nazionale auto delle tute blu Cgil, Giorgio Airaudo che ha aggiunto: “La prima è che la Fiat in qualche modo invoca un regolatore pubblico che fino adesso è mancato nella crisi dell’auto, la seconda è che è la prima volta che in quell’intervista si dice che altri due stabilimenti dei quattro dell’auto potrebbero trovarsi in difficoltà e non è difficile immaginare quali siano a partire da Mirafiori dove il rilancio viene posticipato al 2014. Il governo deve passare dai propositi di incontro ai fatti e tutto ciò avrebbe senso avvenisse restituendo ai lavoratori del gruppo il diritto a scegliere i sindacati e le rappresentanze che vogliono”.

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