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A Cinemambiente le corporation che non pagano le tasse. Con l’aiuto della politica

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Ci avevano raccontato la favola bella del primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, dell’uomo che avrebbe combattuto i privilegi e riparato i disastri perpetrati dalle gestioni iperliberiste dell’ultimo trentennio. A quasi quattro anni dall’insediamento di Barack Obama, però, l’America è un paese più povero, dove la classe media che ne aveva sospinta l’economia per un secolo non è nemmeno in grado di garantire un futuro ai propri figli. Eppure, nonostante questa crisi economica nera e per alcuni irreversibile, negli Stati Uniti c’è qualcuno che può dire We’re not Broke, noi non siamo al verde.

Sono le grandi corporation come Exxon, General Electric, Bank of America e Google che con raffinati sistemi a scatole cinesi non versano all’erario statunitense un solo dollaro. Come? Per esempio aprendo società in Irlanda dove la tassazione è del 12,5% (invece del 35% degli Stati Uniti) e poi chiudendo il triangolo del transfer pricing con una società finanziaria (magari rappresentata da una semplice casella di posta) in un paradiso fiscale (nel mondo se ne contano ormai 50). E lo Stato? Lascia correre perché a finanziare le campagne elettorali dei membri del Congresso e del Presidente stesso sono proprio le grandi corporation. Una grande democrazia, quella americana, ma perennemente sotto scacco delle lobby che preferiscono investire ingenti somme di denaro per piazzare i propri uomini al Congresso piuttosto che pagare regolarmente le tasse. Il bel documentario We’re not Borke delle registe Karin Hayes e Victoria Bruce racconta questi retroscena seguendo le azioni del movimento Us UnCut che è stato il precursore del più noto Occupy Wall Street. Mostrano le cellule incancrenite di un’economia capitalista nella quale si allarga, ogni giorno di più, la forbice fra il 99% delle persone e l’1% dei privilegiati.

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