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Cultura

Saviano: “Torino è la città più a sud d’Italia che la ‘ndrangheta considera suo territorio”

Redazione Quotidiano Piemontese

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“Torino, una città nella quale è difficile scovare torinesi nativi; una città che i meridionali hanno conquistato con il lavoro, l’hanno presidiata con i sogni di vita normale, l’hanno espansa con la realizzazione di una sicurezza civile, una casa, due figli, la casa per la figlia. Insomma questa è la mia Torino, la città più a Sud d’Italia”.

E’ una lettera intrisa di sensazioni quella che Roberto Saviano su La Stampa dedica a Torino. Una Torino che per lo scrittore partenopeo da piccolo “era il posto più lontano che potessi immaginarmi”.  Una missiva pregna di ricordi. Ma soprattutto una lettera di denuncia.

Denuncia per una Torino diventata la “più antica città neomeridionale” anche perché (purtroppo)  Torino, alla stregua di Duisburg, è stata una città in cui la ‘ndrangheta ha colpito perché “nella sostanza quella terra è loro. Torino, la più grande città della Calabria”.

Ecco il testo completo della lettera di Saviano:

Quando ero piccolo, Torino era il posto più lontano che potessi immaginarmi. Per me era più lontano di Parigi, più lontano di Berlino, più lontano di New York.

Torino era così lontana perché era la città per la quale erano partite le persone intorno a me (il posto della Fiat); perché era la casa del nemico calcistico (il posto della Juventus); e poi era la culla dei Carabinieri. Dei Carabinieri? Che c’entrano i carabinieri proprio con Torino. O meglio c’entrano come in qualsiasi altra città. Invece sì, dei Carabinieri.

Io non sono nato a inizio Novecento, non sono nato nel dopoguerra, sono nato nel ’79 eppure sono cresciuto sentendo ancora i vecchi del paese chiamare i Carabinieri “i Piemontesi”. «Posti di blocco di piemontesi dappertutto» oppure «hai pagato la multa ai piemontesi?» E mentre per me New York erano i Knicks che vedevo nei VHS e Berlino era il muro che cadeva, tutto molto vicino a me, Torino era lontana. Perché Torino portava via le persone dal Sud.

Quando ero piccolo la rivalità con Torino era totalizzante. Una rivalità impersonificata anche – e soprattutto – dalla Juventus. L’insopportabile Juventus, la magnifica Juventus. Squadra di meridionali: ci sono più tifosi juventini al sud che non a Torino, questo è certo. Quando nella propria terra non esiste una squadra forte autoctona, allora si tifa Juventus. Quando nella propria terra non esiste lavoro si pensa a Torino, persino tra le nuove generazioni che sanno bene che oggi non se la passano bene nemmeno a Torino.

C’era una canzone che si chiama Briganti – che canto ancora oggi quando riesco a raggiungere un momento di ubriacatura d’allegria, visto che ho la condanna di essere (quasi) astemio – che recita così: «o vero lupo ca magna ’e creature è ’o piemontese c’avimma caccià» – il vero lupo che mangia i bambini è il piemontese che dobbiamo cacciare. Ho ancora vivo un ricordo: una testa che spunta da una porta semichiusa prima del sonno mentre ero nel lettone della casa dei nonni, un amico o uno zio, che mi diceva: «Robertì, qual è o vero lupo ca magna ’e creature?» e io dovevo rispondere «il piemontese che dobbiamo cacciare!».

Io vengo da una famiglia mista: il mio lato materno è ligure e mazziniano, con una tradizione repubblicana, libertaria, unitaria; mentre il mio lato paterno, dell’entroterra campano ha antenati contadini di stirpe tradizionalista. Dentro di me quindi scorrono le due anime e i due mondi, anche se sono nato e cresciuto a sud. Ma chi nasce a Torino ormai non può più dire di nascere a nord: è meridionale senza saperlo, anche se il suo dialetto lo tradisce.

Il Politecnico avrebbe dovuto aprire la sua succursale a Reggio Calabria; La Stampa avrebbe dovuto essere il primo giornale di Calabria; Torino e Napoli, Torino e Bari, Torino e Palermo, avrebbero dovuto essere legate dalla storia. Torino ha visto l’omicidio di un giudice, Caccia che la ’ndrangheta commissiona e nel fare questo include Torino nel territorio di sua competenza, la sottintende parte della terra che obbedisce alle regole.

Le mafie difficilmente ammazzano al di fuori delle proprie zone d’influenza militare, perché i significati di quella morte sarebbero diversi, eppure a Torino, come a Duisburg, hanno colpito, perché nella sostanza quella terra è loro. Torino, la più grande città della Calabria. Chissà se i dati possono confermare che sia davvero la più grande città meridionale. Forse Milano oggi la batte? Londra la più grande città del sud Italia? Torino di certo è la più antica città neomeridionale.

So che Torino ha dimenticato di essere meridionale, ha dimenticato di essere lontana. Torino e i piemontesi: sono cresciuto con una grande diffidenza nei loro confronti, per poi finire ad avere proprio con alcuni piemontesi i legami più solidi della mia vita. La protezione più cara. L’abbraccio tutt’altro che falsamente cortese. Torino che ancora oggi, a fine pranzo, la domenica, è il metro di paragone del racconto che si fa a sud o almeno nei pranzi che mi capita di fare.

Nord e Sud, paragoni, storie, aneddoti. I Savoia che non sapevano una parola d’Italiano e parlavano il francese, i Borbone che prima o poi qualcuno a tavola dice essere l’unica dinastia veramente italiana che parlavano italiano e napoletano; poi l’aneddoto che avrò ascoltato dall’intero arco dei miei conoscenti e che io stesso ho contribuito a diffondere. In fondo è storia non leggenda: i torinesi quando arrivarono alla Reggia di Caserta non riconobbero il bidet, definendolo nei loro archivi «oggetto non identificato a forma di chitarra». E da qui le infinite riflessioni su chi è più pulito di chi.

Torino in fondo viene vista da sempre come un altro popolo, un altro pezzo di nazione, il mio sud sente relativamente più vicine Genova e Venezia, ma Torino proprio no. Ancora oggi c’è quella memoria nascosta nelle pietre di paese, nei vicoli, nel rancore dei nonni, nelle tifoserie degli stadi che sventolano i vessilli borbonici. C’è ancora il ricordo dei 120.000 soldati piemontesi mandati al sud a reprimere e conquistare.

E poi l’emigrazione: ero adolescente quando si partiva per andare a fare l’avvocato a Torino. Torino era più lontana di Milano, perché da Milano si poteva tornare, mentre da Torino no. Torino, un’immagine di efficienza e liberalità. Rigore certo ma un rigore avanzato, progressista. Torino era il contrario delle cose che vivevo. Se giù c’era il disordine, su regnava l’ordine; se al sud c’era disoccupazione, a nord c’erano garanzie di lavoro; se da noi per fare l’amore bisognava fidanzarsi, le torinesi invece potevano concedersi prima.

Stereotipi, certo, ma questa è stata Torino per me e ancora lo è nel nostro immaginario. Torino, una città nella quale è difficile scovare torinesi nativi; una città che i meridionali hanno conquistato con il lavoro, l’hanno presidiata con i sogni di vita normale, l’hanno espansa con la realizzazione di una sicurezza civile, una casa, due figli, la casa per la figlia. Insomma questa è la mia Torino, la città più a Sud d’Italia.

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