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Il vescovo Nosiglia scrive alla città: “”Chi ha di più aiuti coloro che sono in difficoltà”

Redazione Quotidiano Piemontese

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Tradizionale ‘Lettera alla città’ dell’arcivescovo di Torino Cesare Nosiglia, ai cittadini e alla politica: è stata resa pubblica oggi e invita chi ha di più ad aiutare chi è in difficoltà. Scrive tra le altre cose il vescovo: “Invito le famiglie che hanno un lavoro e una casa a unirsi ad altre per farsi carico di quelle che ne sono prive, siano italiane o immigrate, promuovendo un sostegno di vicinanza tramite l’offerta di beni e di sussidi anche economici, se necessario, per pagare l’affitto di casa o sostenere situazioni di gravi disabilità”. L’invito è rivolto anche a banche e fondazioni: “Il mondo bancario ha un ruolo importante da giocare, uscendo dalle logiche assistenziali o meramente economicistiche, per produrre cambiamento attraverso la sponsorizzazione intelligente di elementi di innovazione sociale utili alla famiglia inserita nel proprio contesto vitale”.

“Un anno fa – come oggi – Papa Francesco era con noi, sulle strade della nostra città. Per me, per la Chiesa di Torino – ma credo per tutta la città e il suo territorio – quei due giorni rimangono veramente indimenticabili. Sapevamo che Francesco porta con sé la forza di coinvolgere le persone, di trascinarle nel suo abbraccio. Ma quella a Torino era la sua prima visita in una grande città italiana e pensavamo ci fosse da scontare una certa indifferenza… Invece, il risultato l’avete visto, è stato sotto gli occhi di tutto il mondo!”. Inizia così la lettera di Nosiglia.

“Francesco ci ha lasciato, nella sua visita, non solo momenti di grande intensità, ma anche insegnamenti molto precisi, richiami, inviti ad avere coraggio, a superare la crisi, che non è solo economica. Lungo questo anno io ho voluto che la Chiesa torinese si impegnasse a dare continuità alle parole del Papa, che ci ha incoraggiato, soprattutto, a costruire insieme il cammino di rilancio. Per questo, a un anno dalla visita del Papa, ho deciso di raccogliere nel messaggio alla Città che tradizionalmente il vescovo propone per la festa patronale di San Giovanni Battista, il cuore vivo del messaggio del Papa, il centro del suo invito: cercare di essere, davvero, fratelli. Non solo concittadini, non solo persone impegnate in un progetto comune, ma fratelli”.

Ancora: “Essere fratelli significa non accontentarsi dell’uguaglianza dei diritti e dei doveri che abbiamo come cittadini, ma saper riconoscere in ogni persona la dignità che gli è propria e che viene a ciascuno di noi dalla condizione umana, dall’essere vivi qui e ora. Capite allora che, nel riconoscere la dignità di ogni persona, si aprono discorsi impegnativi non solo di rispetto reciproco, ma anche di scelte per la città. Penso, per fare un solo esempio, al discorso sulle periferie, urbanistiche come esistenziali. Si è fatto molto, in questa direzione, ma è doveroso richiamarci alla prospettiva autentica: quando diciamo di “promuovere” le periferie, non possiamo pensare con una mentalità assistenziale, col buonismo della beneficenza. Si tratta invece di essere capaci di riconoscere le potenzialità e i valori che ci sono nelle persone e nei territori anche più lontani dagli scintillii del “centro”. Negli incontri a cui partecipo in tutta la diocesi mi accorgo di quanta forza, di quanto entusiasmo ci siano, tra i giovani e non solo, in ambienti che non arrivano mai agli onori della cronaca. Mi accorgo di quante storie positive di fraternità, di solidarietà, si creano e vengono vissute anche nelle nostre periferie”.

“È vero, però, che questi processi non si inventano, non crescono come funghi. Ecco perché torno a chiedere, anche in questa lettera, un impegno speciale, delle istituzioni come di tutte le agenzie sociali, per la formazione di giovani e adulti, per il patto fra le generazioni in vista di un nuovo welfare basato non solo sul benessere economico ma, appunto, su una nuova condizione esistenziale”.

Spiega l’arcivescovo: “I poveri, intesi nella loro accezione ampia, vanno dalle famiglie e singoli che hanno perso il lavoro e/o magari sono sotto sfratto incolpevole, ai senza dimora, ai giovani in cerca di una occupazione, agli immigrati e rifugiati, agli anziani malati e disabili… Vengono per ultimi, nel mio discorso, perché sono la dimensione più importante. Lo voglio dire con chiarezza: non illudiamoci del nostro benessere, non culliamoci nelle nostre sicurezze. Se non siamo capaci di tenere nel nostro orizzonte i poveri, di ricordarci delle difficoltà che tanti cittadini, tanti fratelli e sorelle, affrontano ogni giorno, non c’è successo per nessuno, i nostri progetti non potranno riuscire. Don Milani, con i suoi ragazzi di Barbiana, lo diceva così: «Il problema degli altri è uguale al mio. Sortirne da soli è l’avarizia, sortirne insieme è la politica». Ma prima ancora il Signore Gesù ci ha insegnato che l’attenzione, il servizio che dedichiamo ai poveri, è la misura stessa della riuscita della nostra vita”.

Conclude monsignor Nosiglia: “Nella Lettera segnalo il rischio, sempre presente, di una città che ingloba territori molto diversi tra di loro, territori che non sono circoscritti alle classiche periferie geografiche, ma che attraversano gli ambienti e le condizioni di vita delle persone e famiglie, che pure vivono accanto nello stesso quartiere e circoscrizione. Pensare a una città omogenea non è mai stato possibile e nemmeno è auspicabile, purché le differenze non si tramutino in indifferenza o, peggio, in estraneità e rifiuto. È dunque necessario reagire e trovare vie di convergenza non solo sul piano delle infrastrutture o di eventi cittadini promossi al centro, ma impegnandosi insieme sulla via della formazione etica e civica di ciascuno con l’apporto corresponsabile di tutte le componenti religiose, sociali, politiche, economiche e culturali di cui è ricca la città. A questo “serve” la fraternità: a cementare insieme quest’unità non solo di intenti, ma di realizzazioni concrete e necessarie, di cui tutti e ciascuno si assume per sua parte la responsabilità. Allora, la risposta torinese alla domanda di Dio: «Dov’è tuo fratello?», sarà sicuramente diversa da quella che diede Caino («Sono forse io il custode di mio fratello Abele?»)”.

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