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Cronaca

Operazione contro la ‘ndrangheta, 9 arresti tra Ivrea, Chivasso e Vibo Valentia

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I carabinieri del Comando Provinciale di Torino hanno portato a termine all’alba di oggi un’operazione contro la ‘ndrangheta radicata nel Canavese, con nove arresti nella zona di Ivrea, di Chivasso e a Vibo Valentia.

Tutte le persone colpite da ordine di custodia cautelare in carcere (emessa dal GIP del Tribunale di Torino su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia), sono ritenute collegate alla cosca degli Alvaro. L’accusa vada associazione di tipo mafioso a truffa aggravata, ma anche estorsione, ricettazione, usura, violenza privata e detenzione e porto illegale di armi aggravati dal metodo mafioso.

L’indagine era cominciata nel 2015 ed ha permesso di ricostruire una rete locale che operava soprattutto nell’area di Ivrea. La sua azione era caratterizzata dalla presenza di soggetti ritenuti appartenenti alla cosca degli Alvaro “carni i cani” di Sinopoli (in provincia di Reggio Calabria), con una struttura organizzativa ben dettagliata e una ripartizione degli associati in ruoli di vertice e subordinati. I malviventi si sarebbero fatti forza proprio del vincolo mafioso, sfruttando omertà e sottomissione per commettere in particolare delitti di estorsione, truffa ed usura.

L’esponente di spicco del sodalizio sarebbe stato individuato in Domenico Alvaro, già condannato per associazione di tipo mafioso, diretta emanazione del padre Carmine Alvaro, detto “u cupirtuni”, vertice della criminalità organizzata di matrice ‘ndranghetista nella sua articolazione territoriale intesa ‘ndrina Alvaro.

Le indagini erano iniziate per scoprire eventuali contatti tra gli Alvaro e il clan Crea. E, fin dalle prime battute, hanno evidenziato la presenza di due ambienti criminali distinti, entrambi di matrice ‘ndraghetista in cui Domenico Alvaro si sarebbe mosso: da un lato un’organizzazione dedita ad un vasto traffico di sostanze stupefacenti su scala internazionale con base in Torino, dall’altro un’organizzazione, facente capo allo stesso Alvaro, dedita alla commissione di vari reati contro il patrimonio sul territorio italiano ed estero.

L’organizzazione dedita al traffico di stupefacenti era già stata colpita in occasione dell’indagine del 2019 denominata “Cerbero”, con l’arresto di 71 persone.

L’organizzazione che risulta dagli elementi raccolti dedita al compimento di reati contro il patrimonio, invece, è stata approfondita con l’indagine “Cagliostro”, che ha portato agli arresti di oggi. Si è scoperto che Carmine Alvaro, servendosi proprio del figlio Domenico, avrebbe strutturato una stabile articolazione di tipo mafioso ‘ndranghetista radicata sul territorio di Ivrea e zone limitrofe e collegata alla rete unitaria della ‘ndrangheta piemontese.

Oltre al reato associativo sono stati raccolti gravi indizi di colpevolezza per truffe commesse in concorso con altri indagati non appartenenti all’associazione, perpetrate ai danni di imprenditori operanti nella provincia di Torino e compiute nella seguente modalità: gli indagati, secondo l’ipotesi accusatoria, si accreditavano espressamente come persone legate a “famiglie” criminali calabresi prospettando alle vittime, alcune delle quali in difficoltà economica, la possibilità di acquistare ingenti somme di denaro “sporco” corrispondendo in cambio somme di denaro significativamente inferiori con il versamento, a titolo di anticipo, di un acconto, a volte sotto forma di lingotti d’oro e gioielli, che diventava il provento del raggiro. Una volta scoperte le truffe, gli indagati avrebbero utilizzato la loro appartenenza all’associazione mafiosa per intimidire le vittime e farli desistere da ogni azione per riavere il maltolto. Le somme sottratte in modo fraudolento supererebbero i 600mila euro.

Inoltre sono stati raccolti elementi indiziari circa la commissione di due estorsioni condotte in danno di un broker finanziario, duramente minacciato dai membri dell’associazione mafiosa, dal quale si sarebbero fatti consegnare la somma di 85.000 euro, incassati mediante l’intermediazione di alcune società fittizie ed in danno di alcuni imprenditori operanti nel mercato ittico.

I sodali, forti della loro nota appartenenza a famiglie malavitose, avrebbero anche costretto un imprenditore edile in difficoltà economiche ad effettuare dei lavori presso l’abitazione di uno degli indagati senza corrispondere alcun prezzo, per poi indurlo ad accettare un prestito a tasso usuraio.

L’indagine ha anche consentito di raccogliere elementi per dimostrare in ipotesi di accusa il ruolo di esponenti del clan Belfiore, i quali avrebbero estorto del denaro a due degli odierni indagati in un contesto di intimidazione mafiosa. In particolare i Belfiore si sarebbero proposti come “rivali” degli Alvaro, esercitando un potere di rivalsa nei confronti di alcuni indagati, infatti in primo momento avrebbero preteso la restituzione del denaro alla vittima, salvo successivamente estorcere denaro agli indagati, quale dazio per aver compiuto azioni criminali all’interno del territorio di influenza.

I nove indagati, alcuni dei quali già gravati da diversi precedenti penali e condanne per reati associativi e afferenti agli stupefacenti, sono stati condotti presso diverse carceri situate in regioni limitrofe al Piemonte in attesa dell’interrogatorio di garanzia davanti al GIP.

Il procedimento penale è attualmente nella fase delle indagini preliminari e i predetti indagati sono da considerare non colpevoli fino a sentenza di condanna divenuta irrevocabile.

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