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I ricci si stanno estinguendo, lo studio del Centro Ricci di Novello con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino

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I ricci sono animali considerati sentinella dello stato di salute di un ecosistema, in quanto a stretto contatto con il suolo, territoriali e insettivori. Il rapido declino di questa specie che, nella sua forma attuale, vive sul pianeta da circa 15 milioni di anni è sintomatico del grado di devastazione che la razza umana sta causando al pianeta. I ricci hanno subìto un calo numerico di ben il 70% in Europa, in soli 20 anni. I dati rilevati in Inghilterra sono ancora più impressionanti; secondo una stima fatta dagli anni settanta ad oggi, gli esemplari presenti sul territorio sarebbero scesi da 30 milioni a meno di ottocentomila.

A questo proposito, Massimo Vacchetta, il Medico Veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna di Novello, nel cuneese, dichiara:

“Se non faremo nulla per fermare il declino di questa specie, i ricci si estingueranno in 10-20 anni. Se sono ad un passo dall’estinzione animali così comuni, i prossimi saremo noi, perché siamo – a tutti gli effetti – ad un passo dalla sesta estinzione di massa. Il nostro dovere è proteggerli, perché dalla salute dei ricci dipende anche la nostra sopravvivenza”.

Per documentare i numeri di questa emergenza, il Centro Ricci di Novello (Cuneo) ha avviato una collaborazione con il Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino (DSV) per indagare le cause di ricovero e morte dei ricci. La ricerca presto includerà altre università italiane (Teramo, Bari, Milano) ed europee.

Il progetto, coordinato dalla professoressa Maria Teresa Capucchio, cercherà di mettere a punto i parametri del profilo metabolico ematico di questi piccoli mammiferi e indagherà gli agenti infettivi e parassitari che possono essere veicolati e potenzialmente pericolosi per i ricci e l’ambiente. Si cercherà, inoltre, di capire se, a seguito di periodi di ospedalizzazione di almeno 10-15 giorni, i ricci possono sviluppare resistenza agli antibiotici o modificare il proprio microbiota intestinale.

Saranno presi in considerazione i ricci ricoverati e deceduti presso il Centro Animali Non Convenzionali (C.A.N.C.) del DSV e quelli del Centro Recupero Ricci “La Ninna”.

I dati preliminari sinora disponibili sono stati ottenuti esaminando i soggetti deceduti presso il C.A.N.C. da gennaio 2018 a luglio 2022 e quelli deceduti nel Centro “La Ninna” nel 2022. Un totale di 160 ricci è stato sinora incluso nello studio.

I risultati sono in accordo con la letteratura, che considera i traumi, la debilitazione e le malattie infettive come le principali ragioni di ricovero. I traumi rappresentano una delle cause più comuni di mortalità nei ricci e nella maggior parte dei casi sono legati all’uomo. Le malattie infettive (batteriche o parassitarie) che colpiscono principalmente i polmoni o il tratto gastrointestinale sono un’altra importante causa di morte. Sono stati rilevati frequentemente vermi polmonari, ma sono necessari ulteriori studi al fine di comprendere l’ecobiologia di questi parassiti e la patogenesi delle loro lesioni. L’aumento della presenza di malattie parassitarie potrebbe dipendere dal cambiamento climatico e/o dalla distruzione dell’habitat dei ricci da parte dell’uomo: la mancanza delle prede di cui solitamente si ciba il riccio, spinge questa specie a nutrirsi di prede inconsuete, spesso ospiti di parassiti potenzialmente letali.

Sono in corso indagini istologiche e microbiologiche per verificare il potenziale ruolo degli agenti infettivi nel causare la mortalità dei ricci e nel contribuire al declino della loro popolazione.

“Credo che la collaborazione tra i due centri permetterà di conoscere le cause di morte e malattia dei ricci del Piemonte al fine di poter attuare misure di profilassi adeguate. È importante lavorare ora per evitare che questi piccoli mammiferi essenziali nell’ecosistema, possano arrivare all’estinzione con conseguenze molto gravi per l’ambiente che ci circonda. Conoscere meglio gli agenti infettivi e/o infestivi eventualmente veicolati è altrettanto essenziale per monitorare la circolazione degli agenti biologici nell’ambiente ed i potenziali rischi per le altre specie viventi in un’ottica One Health! È inoltre molto importante valutare l’impatto dell’ospedalizzazione sul microbiota intestinale e sullo sviluppo di antibioticoresistenze per capire quanto l’antropizzazione possa determinarne modifiche/insorgenze potenzialmente dannose per la salute animale e l’equilibrio dell’ecosistema” (Dott.sa Maria Teresa Capucchio).

Il prossimo passo sarà quello di trasformare il Centro Ricci “La Ninna” nel primo ospedale e Centro di Ricerca totalmente dedicato a questi piccoli mammiferi. Per aiutarci in questo ambizioso progetto, puoi fare una donazione libera o donarci il 5×1000 (le modalità descritte al fondo del comunicato stampa).

Massimo Vacchetta è il Medico Veterinario che dirige il Centro Ricci La Ninna, che oggi ospita circa 200 ricci, alcuni resi disabili dall’attività dell’uomo (investimenti, ferite da decespugliatori e dai tosaerba robotizzati), altri recuperati in condizioni difficili a causa delle conseguenze del cambiamento climatico (impossibilità di andare in letargo, mancanza di prede per l’utilizzo massiccio di prodotti chimici in agricoltura, nei nostri orti e nei giardini).

Massimo ha descritto la sua esperienza nel libro best-seller internazionale “25 grammi di felicità”, che è stato già tradotto in 14 lingue, e in altri tre libri: “Cuore di riccio” (Sperling & Kupfer, 2019), “Ninna, il piccolo riccio con un grande cuore” (Piemme, 2019), “Raccontami qualcosa di bello” (Sperling & Kupfer, 2021). Del primo volume pubblicato, sono già stati presi accordi per una sua trasposizione in film d’animazione.

I numeri dello studio del Dipartimento di Scienze Veterinarie dell’Università di Torino

Dei 160 ricci esaminati, 85 erano maschi (53,1%) e 75 femmine (46,9%). La maggior parte dei ricci era adulta (n= 79, 49,4%) o giovane (n=78, 48,7%), mentre solo l’1,9% era neonato (n=3). Inoltre, la metà dei ricci deceduti è stata ricoverata in estate (n=60, 37,5%) e in primavera (n=57, 35,6%), mentre pochi animali sono stati raccolti in inverno (n=5, 3,1%) e in autunno (n=38, 23,8%). I traumi (n=63, 39,4%) e la debolezza (n=61, 38,1%) sono state le principali cause di ricovero, seguite da ricoveri casuali di ricci trovati in luoghi inappropriati e portati ai centri dai cittadini (n=27, 16,9%) e da sintomi respiratori/gastrointestinali (n=9, 5,6%). Secondo i risultati della necroscopia, le lesioni traumatiche (n=56, 35,0%) e le malattie infettive/parassitarie (n=47, 29,4%) sono state le principali cause di morte. Meno frequentemente, i ricci sono morti per inedia (n=15, 9,4%) e predazione (n=9, 5,6%). Macroscopicamente, i polmoni sono stati gli organi più colpiti (n=117, 73,1%), principalmente con broncopolmonite catarrale, purulenta o granulomatosa (n=102, 87,2%). Tra i ricci affetti da broncopolmonite, 34 (29,0%) presentavano nematodi polmonari. Sono state registrate lesioni anche nell’intestino (n=29, 18,1%), nello stomaco (n=27, 16,9%), nella milza (n=22, 13,7%), nel fegato (n=18, 11,2%) e nel cervello (n=14, 8,75%). In particolare, le lesioni principali registrate nell’intestino colpito sono state l’enterite catarrale segmentaria (n=24, 82,7%) e l’enterite emorragica (n=5, 17,3%), mentre la gastrite catarrale (n=18, 66,7%) e quella emorragica (n=5, 18,5%) sono state registrate principalmente nello stomaco. Le milze hanno mostrato splenomegalia (n=12, 54,5%) e decolorazione (n=10, 45,5%); la lipidosi è stata la principale lesione osservata nel fegato (n=9, 50%). Nel cervello, le lesioni traumatiche come ematomi subdurali (n=7, 50,0%), emorragie (n=2, 14,3%) e iperemia (n=5, 35,7%) erano i principali reperti. I traumi cerebrali erano generalmente associati ad altre lesioni traumatiche come fratture dell’arto anteriore (n=1, 0,6%), dell’arto posteriore (n=6, 3,7%), del cranio (n=2, 1,2%) o del bacino (n=1, 0,6%), amputazioni (n=6, 3,7%), ematomi cutanei (n=27, 16,9%) e lacerazioni/eruzioni (n=13, 8,1%) o rottura del fegato (n=2, 1,2%).

Come riconoscere un riccio in difficoltà

Un riccio che pesa indicativamente sotto i 300 grammi a ottobre, 400 grammi a novembre e 500 grammi a dicembre deve essere raccolto e portato a un centro di recupero

Un riccio trovato a vagare di giorno è sempre da recuperare e soccorrere (è un animale notturno e se si trova in giro nelle ore diurne è perché non sta bene)

I ricci trovati a bordo strada, se feriti (controllare se si appallottola, se perde sangue dal naso o ha perdite ematiche sul corpo) sono da portare immediatamente a un centro di recupero: hanno bisogno di un soccorso immediato

Il ruolo del riscaldamento globale

Secondo i dati dell’organizzazione meteorologica mondiale (Wmo) il 2021 è stato uno dei sette anni più caldi mai registrati ed il settimo anno consecutivo (2015-2021) in cui la temperatura globale è stata mediamente superiore di oltre 1 grado centigrado in confronto ai livelli preindustriali.

La scienza prevede che, se andremo avanti di questo passo, nell’arco di questo secolo le temperature potrebbero aumentare di 4-6 gradi causando una tremenda devastazione dell’ambiente in cui viviamo. Per far capire l’entità del problema, basti pensare che i cambiamenti che stiamo vivendo ora sono la conseguenza dell’aumento di un solo grado in 30 anni. I più giovani non hanno conosciuto gli inverni di una quarantina di anni fa: freddi e rigidi, con precipitazioni nevose copiose, candelotti di ghiaccio ad ornare il bordo dei tetti e temperature che scendevano spesso abbondantemente sotto lo zero. Questo era un bene per noi e per l’agricoltura, perché il manto nevoso proteggeva la vegetazione e le colture dal freddo e le manteneva umide e sane.

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