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La storia delle mimose vendute per la festa della donna – dalla Liguria alle nostre strade

Redazione Quotidiano Piemontese

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Le mimose sono un classico fiore primaverile, ma sono anche storicamente il simbolo del festival della donna. Vi siete mai chiesti che strada percorrono le mimose che in questi giorni vengono vendute ad ogni angolo di strada ? Redattore Sociale ha cercato di ricostruire la filiera della produzione e distribuzione delle mimose, mercato florido e ricco in questi giorni. Quello che si scopre è che la produzione arriva per lo più dalla Liguria, dove a raccogliere i fiori sono proprio donne, non sempre regolarizzate. Successivamente le mimose vengono incanalate verso i grossisti e arrivano ai mercati all’ingrosso dei fiori localmente dove in vanno a ruba fra i “soliti venditori specializzati”  bengalesi e cingalesi fra tutti, oltre a venditori “stagionali”  che arrotondano sfruttando il boom del mercato per la festa delle donne. Redattore Sociale ha analizzato la situazione milanese, ma quella piemontese e torinese non è molto diversa.

Nel giro di mezz’ora le “quotazioni” delle mimosa sono passate da 30 a 50 euro alla scatola (3 chili di fiori). Oggi il mercato all’ingrosso dei fiori di Milano, in via Lombroso, è aperto al pubblico. Questa mattina, alle 9.30, ai cancelli c’erano almeno 300 bengalesi e srilankesi. Arrivano quasi tutti a piedi e acquistano dai grossisti quello che riescono a portare con le loro braccia: 9 o 12 chili di mimosa più qualche decina di rose o orchidee. Domani e giovedì le rivenderanno in strada, ai semafori, nei mezzanini della metropolitana. Appena viene alzata la sbarra corrono verso i capannoni in cui ci sono i box dei grossisti: chi prima arriva spunta il prezzo migliore. Cinque minuti possono fare la differenza.

Tanto che alle 10 la scatola costa ormai 50 euro. Il mercato all’ingrosso dei fiori è gestito dalla Sogemi, il cui capitale sociale è al 99% del comune di Milano. Dentro ai capannoni ci sono anche quattro vigili urbani che tengon od’occhio la situazione. Ma possono fare ben poco: i bengalesi si accalcano ai banchi dei grossisti e questi ultimi urlano di non spingere. C’è chi vuole controllare la qualità delle mimose nelle scatole, ma i grossisti si arrabbiano perché non hanno tempo.

È questa la filiera della mimosa a Milano: i venditori abusivi comprano dai grossisti alla luce del sole. Il mercato di via Lombroso è infattiaperto al pubblico tre giorni alla settimana: oltre al martedì, anche il giovedì e il sabato. Nei loro appartamenti, poi, i bengalesi dividono in piccoli mazzetti le mimose, nella speranza di venderli almeno a 2 euro l’uno. In media da una scatola si riesce a ricavarne 50. “Sono un imbianchino – mi racconta Kadar -, ma in questi giorni vendo le mimose per arrotondare”. C’è chi invece campa solo con fiori ed è più restio a parlare: “Sì, vendo bene in questo periodo”, mi dice un giovane bengalese con tre scatole di mimosa in spalla. Gli chiedo quanto potrà guadagnarci, mi risponde: “Scusa, non capire italiano”.

La mimosa arriva tutta dalla Liguria, dalla riviera di Ponente. È infatti ancora un prodotto italiano, non viene coltivata in Africa come capita con altri fiori. “La maggior parte delle aziende è a conduzione familiare -spiega Paolo Carrozzino,segretario regionale della Fai Cisl della Liguria -. È difficile per noi verificare le condizioni di lavoro dei raccoglitori di mimosa, la maggior parte donne. La raccolta avviene nel giro di una decina di giorni, ai primi di marzo. La paga oraria prevista dai contratti è di 6,50 euro nette. Probabilmente il lavoro nero si concentra sugli straordinari”.

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