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Il punto della situazione dei migranti in Piemonte: sono 14 mila

Redazione Quotidiano Piemontese

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Alla vigilia dell’incontro tra la Conferenza delle Regioni e il ministro dell’Interno Marco Minniti sui temi dell’immigrazione e nell’imminenza del varo del Piano di distribuzione dei migranti su tutto il territorio nazionale, realizzato dal Ministero in collaborazione con l’Associazione nazionale Comuni italiani (Anci), l’assessora regionale all’Immigrazione Monica Cerutti, su richiesta del capogruppo di Sel Marco Grimaldi, ha svolto martedì 24 gennaio in Aula una comunicazione sullo stato dell’arte dell’accoglienza in Piemonte.

Questo l’intervento dell’assessora

L’accordo Stato-Regioni assegna al Piemonte il 7,2% di tutte le persone accolte, anche se al momento ne ha in carico un po’ di più perché sta sopperendo a parte delle quote assegnate alle regioni colpite dal terremoto. Si tratta di poco più di 14.000 persone – di cui appena 1.270 legate al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) – il 40% delle quali ospitate nella Città metropolitana di Torino e il 60% nelle province rimanenti. Il Piano Anci intende proporre una ripartizione il più possibile equilibrata tra i Comuni: un elemento importante se si pensa che in Piemonte ben 902 Comuni non sono interessati ad alcun tipo di progetto in materia.

Grazie agli incentivi destinati ai Comuni ospitanti stanno arrivando in Piemonte 7 milioni di euro che potranno essere usati dai sindaci a favore di progetti rivolti a tutta la comunità. Oltre all’accoglienza, obiettivo fondamentale è l’integrazione, portata avanti attraverso progetti di volontariato civico che permettano alle amministrazioni di coinvolgere i richiedenti asilo e di farli incontrare con la comunità.

Il sistema dei Centri d’identificazione ed espulsione (Cie) non funziona a causa della mancanza di accordi con i paesi da cui provengono i richiedenti asilo e sarebbe necessario, per abbreviare i tempi e non costringere le persone a una doppia detenzione, provvedere alle pratiche di riconoscimento già in carcere. Per quanto mi riguarda, infine, mi sento di escludere che il Cie di Torino verrà ampliato.

Il dibattito è quindi stato aperto dal consigliere Maurizio Marrone (FdI), che ha sottolineato “il pericolo che i clandestini, privi di controllo, vengano lasciati liberi di circolare sul territorio: una situazione che in un periodo come quello attuale non ci possiamo permettere. Riteniamo che, finché i Cie serviranno, vadano costruiti e ampliati, magari non all’interno delle città ma fuori dai centri urbani. È necessario, inoltre, rivedere la normativa per impedire a queste persone di vivere nel limbo dei ricorsi che non costituiscono titolo di rifugiato e non garantiscono l’integrazione”.

Per il gruppo Lega Nord sono intervenuti Alessandro Benvenuto e Gianna Gancia, che hanno espresso il proprio disappunto per quanto fatto in questi mesi in Piemonte.

“Chiediamo al Governo un cambio di posizione – ha affermato Benvenuto – e che prenda atto del fatto che solo il 5% delle persone sbarcate in Italia sono veri profughi”.

“Non è un fatto di pietas o di cristianità – ha aggiunto Gancia – Madre Teresa non ha mai detto ai poveri dell’India di andare in Europa. Non possiamo rischiare una guerra civile perché non siamo in grado di gestire un dramma umanitario”.

Per il Movimento 5 Stelle la consigliera Stefania Batzella e il consigliere Gian Paolo Andrissi hanno evidenziato la necessità di darsi da fare “facendo di tutto per coinvolgere anche i Comuni più restii a impegnarsi”.

“Se quando sono stati ‘inventati’, a metà degli anni ‘90 del Novecento, i Cie potevano essere necessari per trattenere gli stranieri destinati all’espulsione che si trovano in situazioni d’irregolarità, oggi non possiamo non osservare che sono strutture che non rispettano la dignità e i diritti della persona”, ha osservato Batzella.

“Purtroppo è pratica comune prima vendere le armi e poi creare i profughi – ha denunciato Andrissi -. Non possiamo non prendere atto che un gran numero di profughi è conseguenza della crescita delle esportazioni di armi di cui anche l’Italia si è resa colpevole per destabilizzare l’Africa, l’Oriente e l’est Europa”.

Per il consigliere Gian Luca Vignale (FI) “delle quattro rotte dell’immigrazione verso l’Europa solo quella italiana ha visto incrementare il numero degli sbarchi, a differenza di quelle spagnola, greca e balcanica. È necessario stipulare un accordo con la Libia e penso sia sbagliato non aprire i Cie perché entro la fine dell’anno ci saranno tra i 2.000 e i 4.000 migranti che diventeranno clandestini e magari mano d’opera, in Italia o all’estero, per la criminalità organizzata”.

“I migranti sbarcati sulle nostre coste – ha sottolineato Grimaldi (Sel) – sono 181mila e molti di loro pagheranno le nostre pensioni. Una cosa di cui il nostro paese non può vergognarsi è il fatto di accogliere. I Cie sono nati per identificare ed espellere e il loro fallimento è un termometro di disumanità certificato da Commissioni d’inchiesta. Chiediamo a gran voce il superamento di quelle strutture perché non hanno più senso di esistere”.

La consigliera Nadia Conticelli (Pd) ha dichiarato che “si potrebbero semplificare alcuni passaggi burocratici, come l’identificazione, espletata magari nel momento della detenzione” e ha lodato “la strada intrapresa dal Governo per coinvolgere l’Ue al di là dell’Italia e della Grecia per attivare un modello di accoglienza europeo. Raccomandiamo, nell’incontro di domani al Ministero, di porre il problema dei minori che, al compimento del diciottesimo anno, vedono interrompersi bruscamente i progetti di educazione e di formazione”.
La replica del presidente della Giunta

Al termine del dibattito è intervenuto anche il presidente della Giunta Sergio Chiamparino

A differenza di quanto hanno sostenuto alcuni consiglieri regionali, credo di essere nel giusto nell’aver assunto una posizione radicalmente diversa sul tema migranti da quella dei presidenti di altre Regioni del Nord Italia, prima ancora che per ragioni politiche, per ragioni etiche e culturali.
Sono onorato di essere il presidente della Regione in cui è stato accolto il rifugiato senegalese sepolto dalla frana all’hotel Rigopiano mentre svolgeva legalmente il suo lavoro, sono altrettanto onorato che la nostra Regione abbia accolto il gruppo di migranti africani che sono in Abruzzo per aiutare le popolazioni colpite da terremoti e maltempo, e che abbia accolto i richiedenti asilo che a Ormea a Garessio erano in prima fila a dare una mano a pulire i disastri dell’inondazione dello scorso novembre. Dire “Io sto dalla loro parte” è una scelta di campo, etica, che riguarda tutte le persone che hanno responsabilità nella cosa pubblica
Per quanto riguarda le politiche nazionali, credo che il Ministro Minniti abbia indicato la strada maestra, quella che prevede di stringere intese con i Paesi da cui proviene o transita la maggior parte dei migranti, per costruire corridoi umanitari, e mi pare che l’aver ripreso in mano l’iniziativa diplomatica faccia ben presagire per il futuro. Quello messo a punto dal governo Gentiloni è un piano che sarà presentato domani, in sede di Conferenza delle Regioni, e, da quello che si dice, si dipana in un contesto internazionale, con un programma di interventi che punta a una accoglienza il più possibile diffusa sul territorio e che non mi sembra riducibile al modo in cui era stato presentato, vale a dire “Un CIE in ogni Regione”.

È chiaro che non si può usare il lavoro dei migranti per sostituire altre attività lavorative, qualunque esse siano, ma tutti sappiamo quanti lavori sarebbero utili e necessari per rendere le nostre comunità più belle e pulite: io credo che ci sia uno spazio enorme per attività lavorative che compensino il sostengo che lo Stato offre ai migranti, senza che queste siano percepite come sostitutive. E mi vengono in mente molti esempi, in Piemonte, di Comuni di centro-sinistra e centro-destra dove i migranti svolgono attività integrative apprezzate da tutta la popolazione e che hanno contribuito significativamente a far “riconoscere il diverso”, e a integrarlo.
Sui CIE bisogna ricordare che sono nati nel 1998, quasi 20 anni fa, in un periodo in cui i flussi migratori avevano modalità e intensità molto diverse da oggi, e necessitano di una radicale revisione: ma uno strumento che verifichi, controlli e eventualmente espella chi è migrante ma non è accoglibile, magari per appartenenze a reti criminali, sarà sempre necessario. Da questo punto di vista va decisamente abolito il reato di clandestinità che ha avuto effetti esattamente opposti a quelli che si proponeva, rendendo più complicato il controllo dei titoli per l’accoglienza, come, peraltro, dimostra il percorso del terrorista di Berlino.
Dobbiamo oggi rivedere radicalmente tempi e criteri per l’accoglienza e per la definizione del diritto ad essere protetto e accolto: un anno e mezzo è un periodo troppo lungo, incompatibile con la possibilità di espellere chi non ha diritto di rimanere. Ma ancora più fondamentale è la ridefinizione dei criteri di accoglienza, perchè il confine della necessità fra negazione dei diritti umani e diritto a una vita socialmente ed economicamente dignitosa è troppo stretto. E’ doveroso quindi un salto di qualità complessivo nell’accoglienza, un salto di qualità che può e deve fare l’Europa, la comunità di Stati cui orgogliosamente apparteniamo ma che nella gestione di questa grande emergenza umanitaria è ancora dolorosamente troppo assente.

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