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Cultura

Martone: “Con i tagli al Fus cultura verso la soluzione finale”

Davide Mazzocco

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“In Italia è in atto una guerra”. Alla presentazione della mostra fotografica Noi credevamo, omaggio al suo film sul controverso percorso che condusse all’Unità d’Italia, il regista Mario Martone non se l’è sentita di limitare il discorso all’esposizione che rimarrà al Museo Nazionale del Cinema sino al 15 maggio e all’imminente uscita del Dvd. La notizia del taglio di altri 27 milioni di euro al Fondo unico per lo spettacolo ha ulteriormente allungato le ombre che gravano sul futuro della nostra cultura: “Non posso non fare riferimento a quello che sta avvenendo in queste settimane – ha detto il direttore del Teatro Stabile di Torino -. In Italia è in atto una guerra ed è il governo a operare affinché la cultura venga demolita. Su questo tema l’attenzione deve essere altissima perché le notizie che si sentono sono da ‘soluzione finale’. Film come Noi credevamo o lo stesso Museo del cinema potrebbero non avere più un domani. Se si continuerà su questa strada non avremo più niente”. Gli fa eco Alberto Barbera, direttore del Museo del Cinema e curatore della mostra: “Ogni giorno ci troviamo di fronte a notizie che hanno dell’incredibile tanto che viene ormai spontaneo pensare che dietro vi sia un disegno ben studiato”.

In attesa della mobilitazione nazionale del 26, 27 e 28 marzo, Martone invita le componenti del mondo culturale a fare sistema: “L’ultimo taglio dimostra chiaramente come tutta la filiera culturale sia sotto attacco: la scuola, l’università, la ricerca, i beni architettonici e storici, il cinema, il teatro. C’è qualcuno che pensa di lucrare politicamente sull’involuzione culturale del Paese. La drammaticità di questa situazione non è stata recepita poiché non si comprende come tutta la catena di settori messi in discussione dai tagli faccia in realtà parte di una stessa filiera. I tagli alla scuola e quelli al teatro sono la stessa cosa, ma per alcuni sono solamente battaglie corporative”.

La riduzione del Fondo unico per lo spettacolo da 258 a 231 milioni potrebbe essere letale per molte importanti istituzioni culturali, il tutto a fronte di un mancato accorpamento di elezioni amministrative e referendum che avrebbe fatto risparmiare alle casse dello Stato ben 300 milioni. “Io vedo una stretta correlazione fra le tensioni separatiste e la riduzione dei finanziamenti alla cultura” ha continuato Martone, non senza un sotterraneo rimando a quello che è il nucleo fondamentale della sua ultima opera cinematografica. L’ultimo baluardo in grado di tenere in vita il sistema culturale sembrano essere gli spettatori: “Mentre il governo fa la guerra alla cultura c’è la forza del pubblico a tenere in piedi questo sistema. Se non vi fosse questo pubblico che percepisce la cultura come un bisogno, tutto andrebbe perso”. Martone sottolinea come, spesso, vengano delegittimate le rivendicazioni delle categorie più deboli, quasi che lavorare nello spettacolo sia, intrinsecamente, un’attività parassitaria: “I cittadini portano avanti la loro battaglia per la sopravvivenza della cultura con volontà ed energia ma cosa fa la classe politica? E non parlo né di destra, né di sinistra, perché sono sicuro che anche parecchi intellettuali di destra saranno sbigottiti da questi tagli”.

Il paragone con quanto avviene negli altri paesi europei toccati dalla crisi è scontato: “Ma vi rendete conto che qualcuno ha proposto di chiudere l’Istituto Luce? Sarebbe come chiudere gli Uffizi a Firenze… Altrove i fondi per la cultura vengono difesi, se non aumentati, e la cultura diventa una soluzione per fronteggiare la crisi”.

E a chi gli chiede quando la Rai trasmetterà la versione integrale di Noi credevamo Martone risponde con un sorriso sornione: “Spero il più tardi possibile ma è anche importante sapere su che rete, a che ora e in che giorno andrà in onda”.

 

 

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