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In attesa di modifiche, tutti scontenti del ddl rinnovabili. In Piemonte rischiano 170 aziende

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Paolo Romani lo ha detto chiaramente: “Non ho intenzione di arrecare nessun danno all’industria delle rinnovabili”. Il ministro dello Sviluppo economico è atteso domani da un duro confronto con banche e imprese del settore, in vista di un miglioramento di quello che finora è stato considerato un pessimo decreto un po’ da tutti gli addetti ai lavori. Promette ritocchi significativi, il ministro, e annuncia l’intenzione di correggere il testo in vista di altri due decreti: uno a breve, un altro entro fine aprile.

Mentre il premier Berlusconi parla di “timori ingiustificati” (nonostante i mugugni arrivino anche da settori della maggioranza) la vicenda rischia di mettere in ginocchio un settore in forte crescita soprattutto al nord. In Piemonte, ad esempio: limitatamente al settore fotovoltaico le aziende piemontesi sono circa 170 e se si considera l’intera green economy gli occupati sono circa 4mila. Si tratta, dunque, di tantissime piccole installazioni sul tetto di casa che vanno a beneficio dell’economia familiare e di piccole e piccolissime aziende ed installatori che si sono in parte trasformate perché vittime della crisi economica.

IL DECRETO. Il 3 marzo 2011 il governo ha presentato un testo di legge che – nonostante fosse migliorativo della bozza circolata qualche giorno prima – ha subito scatenato polemiche e richieste di dietrofront. Tutto parte dal cosiddetto terzo Conto Energia, ovvero la legge che disciplina la distribuzione degli incentivi: avrebbe dovuto restare in vigore fino al 2013, invece cesserà i suoi effetti a fine maggio 2011. Da giugno in poi un nuovo Conto energia, finora solo nelle mente di Romani, decreterà la riduzione degli incentivi: ne farà parte un tetto massimo di impianti allacciabili in un anno, da definire volta per volta. Tagliati anche gli incentivi all’eolico e sulle biomasse (del 22 per cento), mentre viene introdotto il limite di un megawatt per ogni impianto fotovoltaico, che non potrà superare il 10 per cento della superficie agricola di un terreno.

Lo stop e l’incertezza hanno portato in breve tempo a una paralisi nei rapporti tra banche e imprese: in pratica un comparto da 12-13 miliardi di fatturato e oltre 140mila dipendenti è fermo al palo, in attesa di capire se e come (con quali incentivi) potrà portare avanti le proprie attività, rinnovando le proprie fonti di energia. Il decreto Romani recepisce una direttiva europea (la 2009/28/CE) ed è contro la strada intrapresa che le associazioni di categoria si sono scagliate, non sulla necessità di una nuova regolamentazione della materia. Gli incentivi degli ultimi anni, infatti, erano stati tali da creare i presupposti per lo scoppio di una bolla dagli effetti pesanti su famiglie e imprese. In particolare per quanto riguarda il solare fotovoltaico: sotto la spinta degli incentivi più generosi d’Europa la richiesta era lievitata così tanto che l’Italia avrebbe raggiunto gli obiettivi Ue (8mila Mw entro il 2020) con dieci anni d’anticipo. Con ricadute – già da quest’anno – sulle bollette elettriche degli italiani.

IN PIEMONTE. Dal 2007, ovvero da quando è in vigore un sistema di incentivazione alla produzione di energia fotovoltaica, nella nostra regione sono stati effettuati lavori per un controvalore pari a 1.330 milioni di euro, con un valore aggiunto di circa 300 milioni per le aziende. Ricchezza in buona parte confluita nei bilanci della realtà locali, considerato che la taglia media degli impianti è modesta e quindi molto probabilmente realizzati da piccoli o medi installatori anziché da operatori di carattere industriale. Edoardo Zanchini, responsabile Energia e infrastrutture di Legambiente, ha commentato: “Il paradosso è che, a partire dall’approvazione del provvedimento, le leggi approvate in Piemonte e in Lombardia, come in centinaia di comuni del nord Italia, diverranno di colpo illegittime, poiché questi territori improvvisamente si troveranno a possedere standard superiori rispetto a quelli consentiti dal governo e quindi saranno automaticamente cancellati. Il decreto Romani, in totale incoerenza con il proclami federalisti del governo non consente ai territori alcuna libertà di crescita e scelta di sviluppo”.

Anche le opposizioni, Partito democratico in testa, si sono scagliate contro le scelte del ministro: “Secondo uno studio della società di consulenza Althesys – si legge in un comunicato del Pd Piemonte – che ha condotto un’analisi costi-benefici sugli scenari alternativi di sviluppo delle fonti di energia rinnovabile al 2020 emergerebbe un beneficio netto per l’Italia tra 23,6 e 27 miliardi di euro. Sono a tutti evidenti le gravi conseguenze della scelta governativa che getta nella totale incertezza un intero settore bloccando tutti gli investimenti in essere. Si pensi alla Comoli&Ferrari di Novara che, su un fatturato consolidato di 250 milioni di euro, ha visto passare il fatturato nel comparto della vendita di pannelli solari dai 2 milioni di euro del 2009 ai 15 milioni del 2010 e sta realizzando un polo tecnologico dedicato alle energie pulite”. Ora anche a Novara dovranno aspettare l’incontro di domani e le probabili retromarce del ministro Romani.

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