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Cultura

Chi non rischia non può essere scrittore. Parola di Vilas Matas

Davide Mazzocco

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“Lo scrittore che non rischia di rendersi ridicolo o di affacciarsi sull’orlo dell’abisso non è niente. Lo scrittore, come si dice in Spagna, se la gioca a ogni frase”. Così Enrique Vila Matas ha chiuso la lectio magistralis che ha tenuto alle Officine Grandi Riparazioni di Torino nell’ambito del week end di premiazione del premio Bottari Lattes Grinzane. La sua lezione si è articolata in tre parti: la prima sull’essenza della scrittura, la seconda sul lettore attivo, la terza sulla lettura del racconto Me llamo Tabucchi como todo el mundo contenuto nel suo ultimo libro Una vida absolutamente maravillosa. Esigente, sottilmente ironico, erudito, straordinariamente enciclopedico, Vila Matas non ha fatto sconti a nessuno, di certo non alla cultura di massa rea di cloroformizzare gli individui inducendoli ad autocompiacersi e a impigrirsi in ciò che già conoscono. E nemmeno nei confronti dei colleghi, o presunti tali, che spesso dimenticano l’importanza e il peso del proprio ruolo: “La lettura è un’arte, anche se molti autori di oggi lo ignorano – ha detto lo scrittore barcellonese -, visto che sono sempre indaffarati a servire quello che ci si aspetta da loro: intrighi banali, personaggi che parlino come nelle più banali serie televisive. È la chiarezza che si chiede loro, e di non complicare le cose. Di respirare con naturalezza e non incupire la giornata a nessuno”. Secondo Vila Matas “la maggioranza dei lettori ostenta il gusto generale e, contando sulla complicità rivelatrice del suffragio di chi non legge, agisce come se avesse vinto alle urne e questo ormai le consentisse di imporre la figura del lettore passivo e di sottoporre qualsiasi lettura individuale alla più rozza lettura generale, prigione di tutti”.

Vila Matas non vede la lettura come una dimensione cattedratica in cui il lettore si abbevera alla sorgente della scrittura di un irraggiungibile dispensatore di verità ma, piuttosto, come una strada a due sensi in cui anche il lettore di talento può dare qualcosa allo scrittore: “Sia chi scrive, sia chi legge, pur intravedendo il fallimento, cerca la rivelazione certa di ciò che siamo, la rivelazione esatta della propria coscienza personale e anche di quella dell’altro”. Per lo scrittore spagnolo, dunque, la lettura è osmosi, è uno splendido viaggio che “attraversa spesso terreni difficili che richiedono tolleranza, libertà di spirito, capacità di emozioni intelligenti, desiderio di comprendere l’altro e di avvicinarsi a un linguaggio differente da quello nel quale siamo sequestrati”. La letteratura e l’arte in genere hanno il compito di guarire dalla malattia della pura e semplice registrazione della realtà che impigrisce e limita l’orizzonte. Per farlo ci vuole il coraggio di un trapezista, come quello di uno dei protagonisti di Esploratori dell’abisso, in uscita in questi giorni da Feltrinelli, che decide di trascorrere la vita a mezz’aria. Una metafora dello scrittore? La risposta Vila Matas l’ha già data in apertura dicendo che mai e poi mai il romanzo deve perdere le connessioni che lo legano all’alta poesia. Il rischio è di cadere da quel sottilissimo filo.

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