Seguici su

Asti

I pensieri di Natale dei vescovi di Asti e Novara

Redazione Quotidiano Piemontese

Pubblicato

il

Hanno scelto due temi diversi i due vescovi di Asti e Novara per fare i loro auguri di Natale ai loro concittadini. Noi li abbiamo voluti riportare integralmente dato Natale è la festa della nascita di Gesù: una festa prevalentemente cattolica.

Il messaggio augurale del Vescovo di Asti Francesco Ravinale:

” Sento il bisogno di augurare Buon Natale a tanti amici che vorrei sapere felici, ma che in questo tempo pieno di incertezze e di preoccupazioni non riescono a godere il tempo più bello dell’anno, perché sono in difficoltà a procurarsi le cosine che abitualmente ci si permetteva di acquistare per la gioia propria e delle persone care. Con apprensione anche maggiore penso a quelle famiglie in cui è venuto a mancare il lavoro, perché veramente questa situazione è destabilizzante.

Siamo tutti in attesa che qualche colpo di fortuna giunga a ribaltare le cose, ma ho l’impressione che dobbiamo imparare a difenderci con le armi che ci sono rimaste, anche se potevano sembrare obsolete e ormai inefficaci. Una di queste armi è quella dell’intelligenza e della capacità di affrontare la vita con lo spirito giusto.
Un filosofo greco dopo un giro al mercato era tornato a casa dicendo: Vedendo tanti oggetti, mi sono accorto di quante cose io posso fare a meno.
Non vuole essere la magra consolazione della favola di quella volpe che, non arrivando abbastanza in alto per mangiare l’uva, se ne andava cercando di convincersi che intanto non era ancora matura.
Piuttosto viene il tempo in cui non è più bene riempire le soffitte di cose francamente inutili o quanto meno superflue. E’ molto probabile che non ci potremo più permettere di soddisfare tutti i nostri desideri, come abbiamo fatto in anni di prosperità e di consumismo. Io non mi illudo che qualche illuminata bacchetta magica possa ripristinare il benessere. Ma neppure voglio rassegnarmi ad accettare che la serenità della nostra vita dipenda dal mercato. Per questo mi auguro che di fronte a situazioni della storia che stanno cambiando noi sappiamo trovare lo stile di vita adeguato per vivere serenamente.
Il filosofo a cui accennavo si era accorto di poter fare a meno di molte cose, perché erano superflue. Non avrebbe però potuto privarsi dell’essenziale.
Il problema sta proprio qui: se noi puntiamo all’essenziale possiamo averlo anche senza troppe risorse economiche. Ma bisogna capire quali cose sono essenziali.
Gesù Bambino, nella povertà di Betlemme, non era privo dell’essenziale: aveva accanto Maria e Giuseppe, che si volevano bene e gli volevano bene. La solidarietà semplice di persone a loro volta povere gli ha consentito di crescere. L’assistenza di Dio Padre lo ha protetto dall’invidia e dalla violenza di persone che volevano il potere tutto per sé. Crescendo ha imparato a lavorare con le sue mani e ha saputo spendere la vita per il bene di tutti, intervenendo nelle sofferenze e parlando di un Dio che veste i gigli dei campi, sfama gli uccelli del cielo e conosce tutto di noi, anche quanti sono i capelli del nostro capo.
Essenziale è saperlo guardare e ascoltare.
Essenziale è una famiglia unita e fedele, soprattutto nelle circostanze di difficoltà.
Se una parola posso rivolgere a chi ha responsabilità pubbliche, è per dire che il loro dovere essenziale è perseguire una politica di lavoro per tutti, perché non serve avere i conti in ordine se poi le persone non possono provvedere a se stesse e ai propri cari.
L’augurio del Vescovo per questo Natale è che impariamo dal presepio di Gesù che cosa sia veramente essenziale per la vita.
Anche un Natale così pieno di preoccupazione può essere un buon Natale. Perché ci apre alla prospettiva di una vita in cui l’essenziale rimane assicurato.
Il messaggio del vescovo di Novara Franco Giulio Brambilla.
“Nel Natale Dio si fa prossimo nel volto del Bambino di Betlemme. Vorrei augurarvi che sia un Natale di speranza. E da chi, se non dai poeti, potremmo prendere a prestito le parole per trovare sentimenti, pensieri e gesti buoni per raccontare la speranza del Natale? Clemente Rebora (Milano, 6 gennaio 1885 – Stresa, 1 novembre 1957), un grande poeta che ha abitato nella nostra terra (tra Domodossola e Stresa) e si è alimentato alla spiritualità del beato Rosmini, ci ha regalato un testo di profonda intensità che risplende nel cielo della poesia universale. Ascoltiamo le parole folgoranti del poeta:
Dall’immagine tesa
vigilo l’istante
con imminenza di attesa
e non aspetto nessuno:
nell’ombra accesa
spio il campanello
che impercettibile spande
un polline di suono
e non aspetto nessuno:
fra quattro mura
stupefatte di spazio
più che un deserto
non aspetto nessuno:
Il testo poetico ci fa sentire il clima freddo di questa profonda crisi, prima spirituale che di risorse materiali e umane. E ci immerge nell’atmosfera che descrive profeticamente l’astenia dell’anima dell’uomo postmoderno. Tutto è sospeso in un'”imminenza di attesa”, forse attendiamo di ascoltare “un campanello che “impercettibile spande / un polline di suono”. Siamo come rinchiusi “fra quattro mura / stupefatte di spazio / più che un deserto”, ma “non aspettiamo nessuno”, anzi forse non attendiamo neppure qualcosa
Siamo come attoniti e ci guardiamo sbigottiti negli occhi, se mai qualcuno abbia una parola da suggerirci o un gesto che apra il cuore alla speranza. Dentro di noi sorge un grido dinanzi al triste panorama di quest’anno, che ci fa quasi esclamare: “ci avete rubato la speranza!”. Anzi dobbiamo forse tutti confessare insieme: ci siamo lasciati defraudare la gioia dei legami, i gesti della responsabilità, la gratuità dell’incontro che fa circolare dentro e attorno a noi la linfa vitale della speranza. Restiamo col fiato sospeso, perchè questo sarà un Natale differente, non potrà non essere un Natale diverso. Vieni Signore Gesù! Lasciamo che il Signore nostro venga!
Ancora il poeta ci viene in soccorso con una cascata di sentimenti che penetra nel nostro cuore e ci mette nel clima della giusta attesa. Esso sprigiona nel centro della nostra vita un “incredibile desiderio di credere”, anzi l’irresistibile impulso della speranza:
ma deve venire,
verrà, se resisto,
a sbocciare non visto,
verrà d’improvviso,
quando meno l’avverto:
Esso impone una dura resistenza al nostro spirito (ma deve venire, / verrà, se resisto), perchè solo una ferrea vigilanza del cuore, la cura delle relazioni, la custodia dell’autenticità del nostro vivere, fa germinare la dolcezza della speranza dentro la dura crosta del nostro individualismo che ci rende malati (a sbocciare non visto, / verrà d’improvviso, / quando meno l’avverto). Occorre ricostruire la trama delle nostre relazioni nelle famiglie, tra uomo e donna, fra genitori e figli, nei legami di amicizia, nella vita di fraternità, nel senso di appartenenza alla vita civile, nella responsabilità per la città dell’uomo. Tutto questo esige una “resistenza”, una costanza che sopporti il duro “mestiere di vivere”. Solo qui abita la gioia vera.
Allora, esploderà il canto che risuona nel seguito del testo poetico di Rebora, uno dei vertici della poesia religiosa italiana (e non solo), che scende quasi balsamo sul nostro cuore, impollina di fiducia le nostre relazioni, sgela la durezza delle nostre chiusure, disegna cammini e gesti di vera carità. Notate: ho messo in corsivo lo stupore che suscita il crescendo dei doni del Natale.
verrà quasi perdono
di quanto fa morire,
verrà a farmi certo
del suo e mio tesoro,
verrà come ristoro
delle mie e sue pene,
verrà forse già viene
il suo bisbiglio.
Perdono, tesoro, ristoro, bisbiglio: quattro termini che ci dicono insieme l’attesa e il dono, la speranza e la presenza, il desiderio e la gioia che ci porta il Natale. La fede nel natale di Gesù può diventare quest’anno il”natale” della fede, lo slancio di fiducia che ci fa costruire insieme il domani.
Di non meno di questo abbiamo bisogno. Abbiamo bisogno di un “perdono” che risani tutto quanto ci dissipa ed è portatore di morte, come vediamo increduli scorrere davanti ai nostri occhi nella violenza drammatica sui bambini (verrà quasi perdono / di quanto fa morire). Abbiamo bisogno che il suo “tesoro” diventi ilnostro, perchè viene dalla sua grazia e benevolenza, come sperimentiamo nella carità di tanti che si curvano sull’uomo sofferente (verrà a farmi certo / del suo e mio tesoro). Abbiamo bisogno del “ristoro” che scende come balsamo sulle nostre sofferenze, solitudini, malvagità, che Egli porta come le sue stesse pene (verrà come ristoro / delle mie e sue pene). Solo l’audacia della poesia puú intuire questo inimmaginabile intreccio: il tesoro è la sua Grazia che diventa la nostra, le pene sono le nostre che sono portate come le sue!
Questo è il dono del Natale. Ce lo suggerisce anche Papa Benedetto in un testo di incomparabile bellezza: ´Dio ci è diventato così vicino che Egli stesso è un uomo: questo ci deve sconcertare e sorprendere sempre di nuovo! Egli è così vicino che è uno di noi. Conosce l’essere umano, lo conosce dal di dentro, lo ha provato con le sue gioie e le sue sofferenze. Come uomo, mi è vicino, vicino “a portata di voce”.
“A portata di voce”! Anzi Gesù si fa prossimo come un “bisbiglio” a cui occorre tendere l’orecchio. Cosï Rebora in uno stupendo finale ci squarcia il velo della speranza: “verrà forse già viene/ il suo bisbiglio”. Verrà forse già viene: ecco, siamo approdati al vertice dell’intuizione poetica di Rebora.
Vi giunga quest’anno l’augurio del Natale santissimo del Signore Gesù, impercettibile come il sussurro di un filo di voce.   Il mio primo Natale tra voi. Busso alla porta delle vostre case, se mai qualcuno attenda una voce che guarisce e consola, che anima e rincuora, annunciandovi “la divina leggerezza della vita in speranza”.

Iscrivi al canale Quotidiano Piemontese su WhatsApp, segui la nostra pagina Facebook e continua a leggere Quotidiano Piemontese