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Piemonte

Nosiglia alla giornata della Caritas torinese: siamo in una società liquida in cui Torino rischia l’implosione sociale

Redazione Quotidiano Piemontese

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Il vescovo di Torino Cesare Nosiglia ha partecipato alla XXVIII Giornata Caritas torinese parlando dei temi più caldi del tessuto sociale piemontese e torinese: la precarietà, la povertà, l’individualismo.

Una parte del discorso di Nosiglia

La nostra città e il nostro territorio stanno assorbendo in pieno quella che viene chiamata società liquida, dove predominano la precarietà, l’individualismo, le parole e le promesse, ma pochi fatti concreti che affrontano i problemi reali della gente, invece o sottaciuti o rimandati a un domani vago e incerto. Questa liquidità, che rende tutto provvisorio e passeggero, attraversa la politica, l’economia, la cultura e i rapporti familiari e sociali, la religione “fai da te” e, di conseguenza, la morale, che non ha più punti di riferimento normativi e stabili, per cui l’io, il suo tornaconto del m omento e il desiderio sfrenato di apparire e valere di fronte agli altri diventano il centro di tutto e il “noi” solo un fattore utilizzato a proprio uso e consumo.

Rientra in questo discorso anche il tema del nostro incontro sull’autoreferenzialità, ovvero quell’assistenzialismo che va a scapito di una progettualità condivisa dalla stessa persona, che deve essere aiutata ad aprirsi alla comunità, trovando in essa il supporto stabile di riferimento per affrontare i suoi problemi ed elevare la propria situazione sociale con l’apporto congiunto di sé e degli altri. La nostra diocesi sta assumendosi impegni gravosi, anche se sostenuti dalla volontà di tanti sacerdoti e laici con grande generosità, per far fronte al crescente numero di poveri e ad un diffuso disagio sociale, che incide anche nella vita delle famiglie e delle comunità locali.

C’è il rischio di una implosione del tessuto comunitario che ha sempre rappresentto il valore aggiunto della nostra Chiesa, ma anche della nostra società, sostenuta da una tradizione radicata nel Vangelo e dalla eredità dei cosiddetti “Santi sociali”. Quel “camminare insieme” che il mio predecessore cardinale Pellegrino pose alla base della sua prima Lettera pastorale resta tutt’oggi un traguardo che abbiamo ripreso come obiettivo di recente nell’Agorà del sociale, sperando di smuovere la sfiducia e la chiusura in se stessi o nel proprio mondo di riferimento istituzionale, politico, economico, finanziario, culturale, anche di coloro che, giorno per giorno, devono lottare per una vita migliore, se non per la loro stessa sopravvivenza coloro che non hanno voce, o la cui voce si perde nel frastuono delle parole e delle promesse perbeniste di incoraggiamento che ricevono.

Abbiamo però tanti grandi e piccoli segnali positivi che c i danno speranza di poter resistere a questa deriva individualistica e ritrovare slancio e vigore nel campo dell’evangelizzazione, a partire proprio dai poveri. Possiamo contare su un generoso esercito di operatori e volontari, che lavorano per la causa della giustizia e degli ultimi, anche se oggi esso rischia di essere indebolito ed anche smantellato, a causa di indirizzi economici che accentuano la spinta al consumo individuale e diminuiscono risorse per una politica sociale più incisiva da parte degli organismi, associazioni e realtà che operano in modo permanente con le persone e che garantiscono loro un sostegno ed un rapporto individualizzato, giorno dopo giorno.

Certo l’impianto del welfare va rivisto e rinnovato, tenendo presenti i nuovi e complessi scenari del rapido cambiamento sociale ed economico in corso. Soprattutto, è importante impostare una cultura diversa dei servizi e del rapporto con le persone, superando il puro assistenzialismo, gli sprechi, il clientelismo politico, la frammentazione degli interventi (a pioggia), a vantaggio della razionalizzazione delle risorse, della capacità di incidere sulle cause che stanno a monte di tante situazioni di povertà e disabilità, dell’attivazione di reti di solidarietà tra istituzioni, volontariato, famiglie e soggetti interessati, per far fronte con varietà di risorse e di impegni alle necessità.
Il rischio tuttavia da evitare è che, volendo ristrutturare questo ampio settore di intervento, si
cancelli lo stesso principio di solidar ietà tra le diverse fasce della società, in nome di una
ottimizzazione delle risorse e di un’esaltazione del privato sociale. Occorre dunque interrogarsi non solo sullo Stato sociale, ma prima ancora sul modello di sviluppo della nostra società, sull’organizzazione dei servizi, sul mercato del lavoro, sulle priorità verso le quali far rifluire le risorse disponibili.

Al riguardo, la politica ha un compito irrinunciabile e determinante. Pertanto è dovere dei politici svolgere un’opera di vigilanza e di orientamento, che incida a monte sulle cause delle povertà e sappia impostare una politica sociale senza sprechi, non occasionale e di lungo respiro, dando forza anche alle realtà intermedie e al volontariato e soprattutto operando per la giustizia e l’equità.
Detto ciò, resta decisivo il mettere sempre e comunque al centro la persona umana, oltre ai suoi bisogni, e puntare a rendere ciascuno autonomo e responsabile di se stesso e capace di rendersi disponibile a contribuire con impegno alle proprie necessità, senza restare puramente passivo, fruitore dei servizi altrui.
Papa Francesco parla sovente della “cultura dello scarto”, propria di una società che emargina e confina i più poveri e deboli al di fuori dell’ordinaria vita comunitaria, non tanto e solo sul piano dei beni materiali, ma dei diritti che spettano ad ogni persona per giustizia, prima ancora che per carità. La carità senza la giustizia si riduce a buonismo, paternalismo sterile, assistenzialismo che lascia le persone in uno stato di dipendenza conti nua da altri, più benestanti di loro. La difesa dei diritti inalienabili di ognuno, la garanzia delle libertà fondamentali e il rispetto della dignità sono compiti da cui nessuno si può esimere. Proteggere i fratelli e sorelle più poveri e deboli è un imperativo morale, per assolvere al quale è necessario adottare strumenti giuridici chiari e pertinenti; compiere scelte politiche giuste e lungimiranti; prediligere processi costruttivi, forse più lenti, per i ritorni di consenso nell’immediato, ma che promuo vono ascolto e dialogo con le persone e le realtà ecclesiali e civili che operano nei territori, in particolare nelle periferie; attuare programmi tempestivi e umanizzanti nella lotta contro ogni forma di sopruso e sfruttamento, che lucrano sulle sventure altrui; coordinare gli sforzi di tutti gli attori, tra i quali ci sarà sempre la Chiesa.

Ma collegare il problema della povertà a quello del lavoro (e quindi della formazione) è decisivo. Per questo l’Agorà del sociale ha dato vita a uno stretto raccordo t ra gli uffici di pastorale del lavoro, della salute, dei giovani, Migrantes e Caritas, perché debbono operare insieme per garantire l’attuazione del nuovo welfare di cui si parla. L’Agorà ha poi allargato il campo, oltre gli organismi ecclesiali, investendo anche quelli istituzionali e sociali, perché solo una rete di supporto, che veda tutte le componenti della nostra società investire il proprio apporto, potrà garantire la soluzione più efficace dei problemi che oggi assillano tante persone e famiglie.

Il discorso integrale di Nosiglia

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