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Piemonte

Nosiglia per il primo maggio: per i giovani occorre superare un welfare di assistenza, per attivare percorsi di inclusione sociale

Redazione Quotidiano Piemontese

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Il vescovo di Torino Cesare Nosiglia per la festa di San Giuseppe Lavoratore durante una veglia di preghiera per il mondo del lavoro ha voluto manifestare  vicinanza e solidarietà ai giovani che fanno fatica ad inserirsi dignitosamente nel mondo del lavoro, e soprattutto a tutti coloro che, a causa degli effetti tragici dei cambiamenti radicali dell’economia, rischiano di essere scartati dal sistema sociale e politico.

Nelle due letture bibliche di questa veglia si ripetono due inviti simili e molto significativi per il mondo del lavoro. Pietro dice allo storpio: «Alzati» ed egli si alza e comincia a camminare, suscitando stupore in tutti quelli che lo vedono (cfr. At 3,1-20). I discepoli dicono al cieco che supplica Gesù di guarirlo: «Su, coraggio! Alzati, Lui ti chiama». Il cieco si alza, va da Gesù e riacquista la vista (cfr. Mc 10, 46-52). Entrambi – lo storpio e il cieco – si alzano da uno stato di prostrazione e di impotenza e anche di rassegnazione in cui vivono. Questa è spesso oggi la situazione di tanti lavoratori, privati del loro posto di lavoro, di tanti giovani che sfiduciati né studiano, né lavorano e si credono impossibilitati a reagire alla loro condizione. Come fare per aiutarli ad alzarsi da questa condizione e tentar di trovare nuove strade o sbocchi appropriati di impiego e di servizio? Una via che l’Agorà ci ha indicato è quella di promuovere l’orientamento al lavoro nella fase anche della scelta degli studi e, poi, nell’accompagnamento personale nella ricerca di un impiego appropriato, a partire dal territorio o comunque nel più vasto ambito delle varie concrete possibilità di occupazione nei vari settori del lavoro, da quello dell’agricoltura, all’industria, al commercio, all’artigianato, ai servizi, al pubblico… e anche nello stesso welfare.

Un orientamento che deve essere dunque collegato ad una formazione qualificata e compente sul piano culturale, ma anche operativo, come fanno tante scuole professionali; un accompagnamento svolto grazie ad un monitoraggio previo delle possibilità di impiego da parte delle varie realtà lavorative operanti sul territorio. Sono questi gli obiettivi promossi di recente dall’inchiesta sulle possibilità concrete di lavoro nel nostro territorio piemontese, avviata con il protocollo stabilito con la Regione, e il Laboratorio metropolitano – che partirà tra pochi giorni –, il quale intende sostenere i giovani sul piano della cultura del lavoro e della concreta attuazione di essi, a partire dal tessuto territoriale di cui fanno parte. Protocollo e Laboratorio sono entrambi frutto delle indicazioni offerte dall’Agorà. L’invito ad alzarsi lo abbiamo sentito risuonare nella Giornata mondiale della gioventù di Cracovia, rivolto ai giovani da Papa Francesco, che ha detto loro di non essere “giovani da divano”, che stanno seduti, quindi senza intraprendenza e iniziativa, ma di affrontare con coraggio i loro problemi e ricercare con perseveranza una via di sbocco concreto e di soluzione.

Certo, se tutto ciò non è supportato da una fiducia forte in se stessi e in chi può aiutarli, come pure nel Signore, che li ama e ispira in loro il coraggio di alzarsi, è difficile che la loro condizioni migliori. Bisogna ricostruire quell’autostima necessaria, che sconfigge ogni paura e timore, per progettare il proprio futuro. Al cieco, Gesù dice: la tua fede ti ha salvato dalla cecità (cfr. Mc 10,52). Sì, perché quel poveretto gridava forte, anche se chi gli era accanto voleva che tacesse, e aveva un’estrema fiducia in Cristo. È stata questa profonda fede che ha fatto sì che l’azione meravigliosa di Gesù potesse compiersi in lui. Sembra strano, ma è un dato di fatto che i problemi sociali non si risolvono senza l’aiuto del Signore e la fiducia in se stessi. Due miscele esplosive che producono risultati imprevedibili. La fede, più è sincera e autentica, più interpella la vita e dà forza per affrontarla, anche nelle sue difficoltà. Pure la mancanza di lavoro può dunque essere un’opportunità per approfondire il senso della propria vita in rapporto alla fede.

L’invito ad alzarsi non riguarda tuttavia solo i singoli lavoratori e i giovani in particolare, ma l’intera comunità ecclesiale e civile. Perché, se a sedersi sul già fatto, senza slancio innovativo verso il domani, è l’intera società, ogni pur valido tentativo di singoli o di realtà si riduce a coinvolgere solo quel cerchio ristretto di coloro che ne fanno parte, o sono entrati in quel giro fortunato. La maggior parte resta fuori, esclusa ed estranea. Oggi, purtroppo, malgrado alcuni segnali che fanno ben sperare in una ripresa anche nel nostro territorio, la crisi del lavoro permane grave e senza concrete prospettive di soluzione. Il fattore positivo in corso è quello di superare un welfare di assistenza, per attivare percorsi che portino all’inclusione sociale, superando la passività dei sussidi e dei servizi e stimolando ogni persona a mettersi in gioco, attivandosi sul piano della responsabilità e dell’intraprendenza. E dunque lavori meno precari, sistema di istruzione efficace, superamento delle burocrazie.

È un quadro di impegni “politici” che interpella tanto le imprese quanto le istituzioni pubbliche e gli stessi rappresentanti dei lavoratori, poiché la cultura della rivendicazione e della contrattazione non basta più, da sola, a garantire condizioni forti di cittadinanza. Se questo è lo scenario che ci sta davanti, resta per noi come Chiesa e come cristiani impegnati nell’ambito del sociale un obiettivo che dobbiamo perseguire con la massima cura: quello di non puntare sulle fasce bene o più preparate culturalmente e familiarmente, ma su quelle più deboli e fragili, che hanno difficoltà a raggiungere certi standard ritenuti essenziali per entrare nel mondo del lavoro. È la scelta – fatta a suo tempo da Don Bosco – delle scuole professionali, che tuttora rappresentano un patrimonio di qualità eccellente nel nostro territorio. La borghesia puntava, per i propri figli, al meglio del mercato; Don Bosco puntò, con i suoi giovani di strada o ex carcerati, al meglio di essi stessi, per inserirsi comunque nella scala sociale in mestieri utili e di grande impatto popolare, di servizio dunque alla gente più povera, cui essi stessi appartenevano. Questo deve essere anche per noi Chiesa, oggi, prioritario. E significa non scartare nessuno, ma offrire anche ai rudes – direbbe sant’Agostino – la possibilità di quell’autonomia che fonda la propria dignità di persona e nello stesso tempo offre sbocchi, anche professionali, fecondi di frutti, perché vicini alla gente comune e ai loro problemi quotidiani.

Lo dico, cari amici, perché non sempre le nostre realtà formative o di impresa fanno questa scelta e privilegiano invece quella fascia alta – o tutt’al più media – rispetto a quella popolare. Dio ha scelto un povero falegname per essere suo padre putativo e una povera fanciulla di Nazareth per essere sua madre, dei pescatori per essere suoi discepoli… ha scelto ciò che nel mondo è ignobile o scartato – direbbe Papa Francesco, sulla scorta di San Paolo – per confondere i sapienti e i ricchi di beni e di intelligenza o di risorse. Si parla tanto – e giustamente – di nuova rivoluzione industriale e molte sono le imprese che assumono giovani laureati con i migliori voti. La qualificazione è dunque più che mai necessaria nel mondo del lavoro. Ma attenzione che questo non si riduca a selezionare e a scartare chi non è in grado di potersela permettere, per tanti motivi sia personali che familiari. Anche su questo versante, dunque, operiamo, come mondo cattolico, con grande impegno, per raggiungere tutti i giovani, anche quelli – e sono tanti – che non potranno mai lavorare in una industria 4.0.

È perciò necessario approcciarci al mondo giovanile con proposte plurali e differenziate, sia per l’accesso che per la permanenza nel mondo del lavoro, perché la categoria “giovani” non esiste in generale e, se considerata omogenea, è fuorviante. Termino con l’augurio del «Messaggio» che abbiamo inviato a tutto il mondo del lavoro. Desidero far pervenire a tutti i lavoratori e alle loro famiglie, a tutte le persone, giovani e adulti, che in questo momento vivono con preoccupazione la ricerca di un nuovo lavoro o la creazione di una nuova opportunità di lavoro, a tutte le categorie di uomini e donne impegnate nella formazione, nell’accompagnamento e orientamento al lavoro, la mia benedizione e il mio forte incoraggiamento. San Giuseppe, patrono dei lavoratori, aiuti ogni operaio, imprenditore e ogni realtà che è coinvolta nel mondo del lavoro a ritrovare motivazioni e slancio nuovo, per riproporre la persona che lavora sempre al centro di ogni norma – della politica, della cultura, della tecnologia e dell’ambiente – che regola i processi economici e lavorativi, sostenendoli con l’impegno per un lavoro sempre più umano, solidale, giusto ed equo per tutti.

 

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