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Cultura

Questa pioggia è neve, intervista con Valeria Massa

Gabriele Farina

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Comincia a Torino nel 2012 per poi portarci nella Polonia del 1980 Questa pioggia è neve, il nuovo romanzo di Valeria Massa, ArabAfenice Libri. E la Polonia del 1980 è quella delle proteste, degli scioperi, della rivolta, della consapevolezza, di Solidarnosc.

Ewa, bloccata in ospedale a Torino da un infortunio, racconta all’amica Flavia quello che non sa del suo passato, quello che non le ha mai detto. E sono segreti duri, che riguardano la sua famiglia e la storia della sua Nazione. Da qui comincia un viaggio che si fa sempre più affascinante pagina dopo pagina. Trovate qui la recensione completa.

Valeria Massa, come mai una vicenda che ci riporta alla Polonia del 1980?

La storia di questo libro prende spunto da un fatto realmente accaduto in una fabbrica tessile rumena, negli anni ’80. Ho pensato di svilupparla e di trasferirla in Polonia, con i dovuti adattamenti, e questo per due ragioni. La prima è l’interesse per la Storia polacca, per i fatti di cui sentivo parlare da ragazza e che all’epoca cercavo di interpretare; era complicato capire perché tanti operai italiani iscritti al PCI sostenessero un sindacato polacco di ispirazione cattolica, contrario al regime filo-sovietico. Ricordo che ne parlavo in famiglia, con mio padre, nei nostri primi confronti “seri”. La seconda ragione è legata al fatto di avere due amiche polacche che hanno vissuto quelle esperienze, due testimoni indispensabili che mi hanno accompagnata durante tutta la stesura del romanzo. E poi mi piaceva l’idea di riportare l’attenzione su vicende storiche poco conosciute dalle nuove generazioni, su fatti relativi a un’area geografica oggi al centro dell’attenzione, ma di cui prima non si parlava molto.

In che modo hai approfondito quel momento storico per poi scrivere questa storia?

Due testi storici sono stati particolarmente illuminanti: “Storia dei paesi dell’Est” di Henry Bogdan e “L’Europa orientale dal 1970 a oggi” di Bülent Gökay, incentrato sulla crisi dei regimi comunisti e sulla fase di transizione alla democrazia. Anche “La mente prigioniera” di Miłosz mi ha aiutata a cogliere certi caratteri delle società dei paesi satelliti di Mosca, in particolare il rapporto tra intellettuali e sovietismo. Per l’accesso al materiale documentario è poi stata determinante la mostra “La Polonia di Solidarność”, a cura di Krystyna Jaworska e Donatella Sasso, organizzata dalla Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e dal Consolato polacco di Milano.

La tua è una storia di persone comuni che si sono trovate a vivere in un luogo e in un tempo particolare. La Storia del mondo influenza sempre le storie private?

Credo di sì, a volte in modo diretto e devastante, altre volte in modo meno evidente e consapevole. La Storia è geo-politica, equilibrio sociale e ambientale, economia, scienza, progresso tecnologico. Influenza il pensiero di ciascuno, le nostre vite e le nostre scelte. Raccontare la Storia attraverso le vicende di persone comuni permette di comprenderne meglio effetti e contraccolpi.

Chi è Ewa? Come hai strutturato il personaggio?

All’inizio del romanzo Ewa è una donna di mezza età che vive a Torino da quando è fuggita dalla Polonia, negli anni del regime di Jaruzelski. Poi, nel racconto della sua vita, la scopriamo ventenne, ingenua, in conflitto con la sua famiglia, poco coinvolta dalla politica e dalla causa polacca. Nel corso della vicenda però la vediamo cambiare, qualche volta per necessità o per paura, qualche volta per convinzione. Ewa è un personaggio imperfetto, molto umano: commette errori, cerca di convivere con il senso di colpa e tenta di trasformare la nostalgia per il suo paese e per il suo passato in un’azione positiva.

La tua storia unisce Torino e la Polonia. Che significato hanno per te questi due luoghi?

Torino è la città in cui sono nata e in cui vivo. Flavia, la protagonista italiana del romanzo, è mia coetanea, in gioventù ha fatto esperienze simili alle mie in luoghi che mi appartengono. Le immagini del quartiere Cit Turin, di Piazza Castello in versione invernale o del Po nella calura estiva fanno parte di me, sono reali e rassicuranti. La Polonia degli anni ’80 è il luogo di Ewa, che per certi versi è l’alter ego di Flavia. È il paese per cui valeva la pena combattere, in cui si poteva sognare di cambiare il mondo. La Polonia raccontata nel romanzo è proprio questo: il simbolo del possibile, del divenire e del cambiamento.

Qual è oggi l’eredità della Polonia di Solidarnosc?

L’esperienza di quegli anni ha dimostrato che i regimi possono essere rovesciati, che la libertà e la democrazia devono essere perseguite e che, una volta raggiunte, devono essere tutelate, perché gli assetti politici sono mutevoli e i governi e i confini che crediamo assoluti possono essere sovvertiti. La nascita di Solidarność è stata un fenomeno unico e inimmaginabile all’interno del blocco sovietico, così inaspettata da costringere il regime a concessioni e così forte da segnare l’inizio del lungo processo di dissoluzione della cortina di ferro. La Polonia di oggi ne è il risultato, un paese con un’evidente connotazione europea, un’economia liberista e un sistema multipartitico. I polacchi che negli anni di Solidarność si sono ritrovati a vivere il dramma dell’emigrazione oggi sono in prima linea nell’accoglienza dei nuovi profughi ucraini.

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