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Pm chiede 14 anni per Alex Pompa nel processo d’appello : “non è legittima difesa”

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Alex Pompa, che nel frattempo ha cambiato cognome prendendo quello della madre, dopo l’assoluzione in primo grado, torna sul banco degli imputati al processo d’appello, in cui il pm Alessandro Aghemo l’ha di nuovo accusato di omicidio, in quanto “non c’è stata legittima difesa”.

“Bisogna avere il coraggio di dire che è stato un omicidio, che un figlio ha ucciso il padre” – dichiara in aula il magistrato. È vero che Giuseppe Pompa era violento e aggressivo, ma solo a parole “però non è mai passato dalle minacce ai fatti”.

Secondo la tesi dell’accusa Alex ha agito in anticipo prendendo il coltello e colpendo il padre disarmato alla schiena e poi per altre 33 volte fino a lasciarlo morto a terra. Per Anghemo Alex era in uno stato di “seminfermità mentale” perchè “ha agito con vulnerabilità interpretativa”. Credeva quindi erroneamente di essere in pericolo. “L’ha interpretato in maniera errata. Sicuramente la vittima aveva un atteggiamento verbale violento e molto aggressivo, ma non è mai andato oltre le minacce” – spiega il pm.

“Ho agito per difenderci. Per difendere me, mia madre e mio fratello. Mio padre stava andando in cucina a prendere un coltello e io l’ho anticipato” – queste le dichiarazioni fornite ai giudici e ai carabinieri quando il giovane, difeso dall’avvocato Claudio Strata, si è costituito.

La richiesta dell’accusa è di 14 anni di reclusione anche se sottolinea alla giudice María Cristina Domaneschi la questione di legittimità costituzionale. Non può applicare delle attenuanti perché per la legge nei casi di omicidio di un familiare prevale l’aggravante del vincolo di parentela

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