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Il nobel per la Fisica Giorgio Parisi racconta la sua amicizia con Tullio Regge

Secondo Parigi Regge fu una mente non convenzionale, capace di osservare il mondo in una maniera diversa dagli altri

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TORINO – Con un lungo post sui social il nobel per la Fisica Giorgio Parisi ha voluto ricordare la sua amicizia con Tullio Regge

Sono di diciassette anni più giovane di Tullio Regge e quando ho incominciato a lavorare lui era già un mito: non si vedeva molto negli ambienti scientifici italiani: era professore all’Institute for Advanced Study di Princeton, dove rimase dal 1965 al 1979. All’epoca l’Institute era l’istituzione scientifica più prestigiosa del mondo (vi erano stati Einstein, von Neumann, Gödel e Oppenheimer): tuttavia, era la presenza di Regge che portava prestigio a Princeton e non viceversa.
Nonostante la differenza di età e di prestigio, Tullio ed io siamo diventati amici. Era una di quelle amicizie strane che ci sono tra scienziati. Io non ero stato suo allievo, e sfortunatamente non ho avuto il grande piacere di collaborare con lui alla soluzione di problemi scientifici. Ci vedevamo una volta ogni tanto, e in quel momento l’interazione reciproca era molto forte. Questi episodi erano intercalati da lunghi periodi di lontananza. Ma sapevamo tutto l’uno dell’altro tramite amici in comune e, cosa più importante di tutte, ci fidavamo completamente l’uno dell’altro. In qualche modo il mestiere di ricercatore, che ci impegna a essere assolutamente sinceri, tende a predisporci verso la fiducia reciproca.

Vorrei ricordare un episodio che dà il tono dei nostri rapporti. Nel 1996, con il primo governo Prodi, c’era una diffusa speranza, anzi una diffusa aspettativa, che molte cose potessero cambiare. Per noi era essenziale avere un ministro dell’università e della ricerca scientifica che conoscesse bene il mondo scientifico e avesse la personalità necessaria per realizzare le riforme necessarie. Io avevo identificato quello che mi pareva il candidato naturale (non ne farò qui il nome), ma non sapevo come far arrivare la proposta a Prodi in maniera autorevole.
Decisi di rivolgermi a Tullio che era stato deputato europeo dal 1989 al 1994, eletto nelle liste del partito comunista. Gli telefonai a casa alle undici e trenta del mattino. Mi rispose dicendomi che stava pranzando (mi spiegò che a Torino si mangia presto e lui, che si svegliava presto la mattina, mangiava un poco prima degli altri torinesi), ma che non importava, era lieto di sentirmi. Gli illustrai il mio progetto, che suscitò subito la sua entusiastica approvazione. Incominciammo a buttare giù una prima bozza di una lettera a firma congiunta.
Io ero dubbioso su molti punti, ma Tullio aveva le idee molto chiare: mi spiegò molto chiaramente che bisognava rivolgersi a Prodi con il “tu” (“È un professore universitario e fra colleghi ci si dà del tu”). L’ultima difficoltà venne al momento di firmare la lettera, non c’era il tempo di mandare la lettera a Torino e da lì rispedirla a Roma. Tullio mi disse: “Firmala tu per me! Io riconoscerò la firma come mia”. Per non fare due firme con la stessa calligrafia, feci mettere la firma da mia figlia. Alla fine la lettera fu spedita, e come era probabile non ebbe l’effetto voluto. Peccato, sarebbe stato troppo bello, ma almeno noi due avevamo la coscienza a posto: avevamo fatto del nostro meglio.

Avevo incontrato per la prima volta Tullio nel giugno del 1980. Me lo ricordo benissimo. Tornavo a casa via Parigi dopo un soggiorno di due mesi in Cina. Ci vedemmo a casa di un altro caro amico, Nicolas Sourlas, un bravissimo fisico di origine greca, e cuoco eccezionale. Nicolas abitava a Parigi in una vecchia casa del Quartiere Latino al secondo piano. Non solo non c’era l’ascensore, ma l’unico accesso erano delle strette e ripide scale a chiocciola che si salivano con fatica, e bisognava scendere con una certa attenzione.

Sfortunatamente la malattia degenerativa che portò successivamente Tullio a muoversi su una sedia a rotelle aveva già incominciato a colpirlo: i muscoli delle gambe non erano molto forti e a volte cedevano improvvisamente. Salire con le stampelle su quelle scale era un’avventura pericolosa ed io, al posto di Tullio, avrei rinunciato. Tullio era fatto di un’altra pasta: non intendeva che la sua malattia si prendesse più spazio del necessario: se c’era una buona cena al secondo piano non ci si poteva arrendere prima di aver provato tutti i modi per salire (in fondo chi si fa scoraggiare facilmente non sale facilmente ai vertici scientifici).
Ci ritrovammo all’ora di cena al pianterreno: in due ci mettemmo sulle scale, uno dietro di lui, uno davanti, e Tullio, così scortato, salì praticamente da solo, attaccandosi fortemente alla traballante ringhiera. La cena fu eccezionale: non solo per il cibo e il vino invecchiato di una ventina d’anni, ma per la dirompente conversazione che prendeva di petto tutti i temi d’attualità, sia scientifici sia politici, senza aver paura di presentare il suo punto di vista, spesso non convenzionale.

Alcuni flash su Tullio

Tramite quali percorsi Regge era diventato una figura talmente influente? Qui vorrei ricordare solo alcuni passaggi, come dei flash.
Tullio Regge nasce nel 1931 a Borgo d’Ale, un piccolo paese nella provincia di Vercelli. Passa la sua giovinezza a Torino, tranne un periodo durante la guerra quando la sua famiglia si trasferisce per motivi di lavoro nella Reggia di Venaria.
Nel Dialogo, libro scritto con Primo Levi, ricorda le sue attività negli amplissimi sotterranei della Reggia, piene di gallerie frequentate da un’impressionante numero di pipistrelli:
Giocavo con roba pericolosa, clorato di potassio, candelotti fumogeni. Davo fuoco a tutto. Una reazione bellissima era mescolare l’anidride arseniosa, che è un po’velenosa, con clorato potassico e acido solforico, ottenendo una miscela potenzialmente esplosiva. E infatti la provetta ha fatto uno schiocco e ha sparato tutta la miscela sul soffitto, dove ha cominciato a corrodere l’intonaco. Ero un pericolo domestico.
Mi ricordo che quando lessi questa descrizione rimasi molto impressionato. Come padre di due figli di circa la stessa età non avrei mai dato loro la libertà di cacciarsi in guai seri e li tenevo molto più al guinzaglio di quanto avessero fatto i suoi genitori. Capivo anche che questi giochi erano un canale importante per sviluppare una mentalità scientifica, tuttavia tremavo all’idea di un figlio che affrontasse questi pericoli. La prima volta che vidi Tullio, gli esposi i miei dubbi, ma non mi fu di grande aiuto. Non ricordo le parole esatte: mi disse essenzialmente “Hai ragione, è una scelta ‘politica’ quella che devi fare”.
Dopo la guerra Regge s’iscrive a Fisica all’Università di Torino. Una bella descrizione dell’Istituto di Fisica è fatta nel libro Il sistema periodico di Primo Levi, che lo aveva frequentato pochi anni prima (nel 1941) per scrivere un breve lavoro di fisica sperimentale, obbligatorio per conseguire la laurea in Chimica. L’interno dell’Istituto di Fisica Sperimentale era pieno di polvere e di fantasmi secolari. C’erano file di armadi a vetri zeppi di foglietti ingialliti e mangiati da topi e tarme; erano osservazioni di eclissi, registrazioni di terremoti, bollettini meteorologici bene addietro nel secolo scorso. Lungo la parete di un corridoio trovai una straordinaria tromba, lunga più di dieci metri, di cui nessuno sapeva più l’origine, lo scopo e l’uso: forse per annunciare il giorno del Giudizio, in cui tutto ciò che si nasconde apparirà.
Tuttavia Primo Levi ricorda con molta nostalgia il tempo passato a Fisica, anche per la collaborazione con un assistente che era una persona eccezionale, dal punto di vista umano e anche scientifico, specialmente se paragonato alla mediocrità di cui era circondato.
Tullio Regge era stato fortunato nella sua iscrizione a Fisica. Torino non era tradizionalmente un ambiente molto vivace per la fisica, tuttavia la situazione stava cambiando con il ritorno dopo la guerra di Gleb Wataghin, uno scienziato ucraino che si era prima rifugiato in Italia nel 1919 e poi era stato in Brasile a partire dal 1934. Wataghin era un fisico non eccelso ma certamente bravo, e soprattutto un organizzatore eccezionale, connesso – cosa importantissima – con tutti i circuiti internazionali della comunità dei fisici. Inoltre, aveva un ottimo gusto per la “buona fisica” e cominciò a invitare a Torino scienziati di alto livello da tutta Europa, per tenere seminari e conferenze.
Tullio Regge si laurea proprio con Gleb Wataghin e Mario Verde nel 1952. Usando anche i canali accademici aperti da Wataghin si trasferisce negli Stati Uniti all’Università di Rochester dove consegue il Ph.D. con relatore Robert Marshak e, cosa molto più importante, conosce Rosanna Cester, anche lei fisica, che sposerà due anni dopo e sarà la compagna di tutta la sua vita.
Nella carriera scientifica raggiunge molto velocemente le mete più prestigiose: diventa professore ordinario all’Università di Torino nel 1962, a trentun anni. Diventa poi professore all’Institute for Advanced Study di Princeton dal 1965 al 1979 e decide di ritornare a Torino nel 1979, dove continua la sua attività di ricerca e di didattica universitaria.

Mi è rimasta profondamente impressa nella memoria una delle ultime volte che lo vidi di persona: era al convegno fatto per celebrarne i sessantacinque anni. Il convegno era andato molto bene: c’erano state una serie di conferenze estremamente interessanti di varie personalità scientifiche che trattavano brillantemente argomenti di attualità. Non riesco a metterne a fuoco i dettagli; al contrario mi è rimasto un ricordo preciso della serata.
Al ristorante dove erano convenuti tutti i partecipanti, dopo cena incominciarono i discorsi personali degli amici e collaboratori di Tullio che ricordavano affettuosamente gli episodi ai quali erano più affezionati. Alla fine toccò a Tullio. Non ricordo le singole parole ma il succo era questo: “Non sono quasi mai andato a eventi di questo tipo e quindi non so che cosa si dice in queste occasioni. Sono stato solo a un festeggiamento di Robert Oppenheimer: mi ricordo che aveva detto ‘Se avessi avuto la fortuna di avere come maestri i miei allievi, allora sarei diventato veramente un bravo scienziato’. Capirete bene che non posso fare un discorso: non so che cosa dire”.
Era estremamente imbarazzato, forse era emozionato e non voleva farlo vedere. Il discorso era stranissimo, molto diverso da quelli che ero abituato a sentire da lui.

I poli di Regge

I contributi scientifici di Regge sono estremamente vari e molto profondi: recano il segno di una mente non convenzionale, capace di osservare il mondo in una maniera diversa dagli altri. I poli di Regge, insieme al calcolo di Regge per la relatività generale, sono stati forse i risultati che hanno suscitato il maggiore interesse.
L’idea alla base dei poli di Regge è abbastanza semplice: per afferrarla bisogna seguire con un po’ di pazienza della semplice matematica.
Tutti sappiamo che posso scrivere “5” due volte e moltiplicare i due “5” che ho scritto tra di loro. Più precisamente scrivo 5 × 5 il cui risultato è 25. Posso anche dire che ho fatto il quadrato di 5. Introducendo la notazione dell’elevazione a potenza arrivo a scrivere 52 = 25.
Ovviamente posso scrivere “3” tre volte e moltiplico i tre “3” che ho scritto tra di loro: ottengo 3 × 3 × 3 = 27 che posso anche indicare in maniera più compatta come 33 = 27. Nello stesso modo 2 × 2 × 2 × 2 = 24 = 16.
Questi brevi cenni dovrebbero essere sufficienti a rinfrescare la definizione di elevazione a potenza: elevare un numero all’ennesima potenza equivale a scrivere il numero enne volte e moltiplicare fra di loro tutti questi fattori: per esempio an vale 1000 se a = 10 e n = 3. Al contrario a1 vale sempre a: scrivo una volta a e non faccio nessuna moltiplicazione (facile).
Insieme all’elevazione a potenza abbiamo imparato (e quasi tutti ci siamo dimenticati) tutta una serie di proprietà scoperte da Archimede; la più importante è forse: an+m = an × am.
Ovviamente la definizione di potenza funziona se l’esponente della potenza è intero. Se l’esponente non è intero la definizione non ha senso: per calcolare 91/2 dovremmo scrivere 9 mezza volta e poi moltiplicare tutti i fattori 9 che ci sono. Mentre possiamo mangiare mezza torta, non possiamo mangiare mezza volta una torta o alzarci dal letto mezza volta!

Nicola d’Oresme (1320-1382: il più grande e il più dimenticato scienziato del medioevo) ebbe un’idea geniale. Se la definizione originale di 91/2 non ha senso, potremmo però definirla in maniera che la formula di Archimede sia corretta. Se proviamo ad applicarla con a = 9 e n = m =1/2, troviamo: 91/2+1/2 = 91/2 × 91/2. Ma dato che ½ + ½ = 1, la formula precedente diventa 9 = 91/2 × 91/2. Quindi 91/2 deve essere la radice quadrata di 9, ovvero 3. Alla fine troviamo che elevare un numero alla potenza un mezzo significa farne la radice quadrata.
In questo modo l’elevazione a potenza, definibile inizialmente solo per esponenti interi, poteva essere definita per esponenti frazionari. Molto spesso i matematici usano procedimenti simili per estendere il campo di applicazione di concetti noti, spesso con risultati sconvolgenti.
Nella meccanica quantistica era definita una quantità, il momento angolare, che doveva essere necessariamente intero (molto grossolanamente era il numero di volte che una certa funzione si annullava). Regge si accorse che esiste un modo per definire il momento angolare anche per valori non interi e che altre quantità fisicamente rilevanti potevano diventare infinite per valori non interi del momento angolare. Il nome “poli di Regge” deriva dal fatto che il modo in cui queste quantità diventavano infinite corrispondeva a quello che matematicamente si chiamava un “polo”.

Nel 1959 Regge sviluppò con grande precisione questa teoria nel contesto della meccanica quantistica non-relativistica, Un anno dopo la sua teoria venne estesa (un poco alla carlona) al caso relativistico e sotto questa forma conquistò il mondo della fisica. Regge stesso si stupì di questo successo: gli capitò di andare a un convegno dove inaspettatamente quasi tutti gli interventi erano dedicati ai poli di Regge, ma in un contesto molto diverso da quello originario. Tullio non si occupò più dei suoi “poli” dopo il 1962: era passato a studiare come affrontare lo studio numerico della gravitazione arrivando pian piano a formulare il calcolo di Regge.
È difficile rappresentare l’importanza che ha avuto la teoria dei poli di Regge per la fisica: vorrei solo ricordare che la teoria delle stringhe di cui oggi si parla tanto come possibile teoria del tutto, è nata proprio partendo da una problematica interna alla teoria dei poli di Regge. Senza la teoria di Regge oggi non avremmo nemmeno la teoria delle stringhe.

Tullio, il gran burlone

Un’indimenticabile caratteristica di Tullio era voler scherzare in tutti i modi possibili giocando con le parole, comportandosi, anche in pubblico, in maniera imprevedibile. Gli episodi sono infiniti. Forse il più drammatico si verificò in Unione Sovietica. Tullio stava visitando questo paese ed era andato in una città vicina al confine cinese, credo nel Pamir: una città il cui possesso era rivendicato dalla Cina. Al ritorno era stato invitato all’Accademia sovietica delle Scienze per una cerimonia. Ma quando il presidente dell’Accademia gli chiese davanti a tutti com’era andato il viaggio, lui rispose che era contento di essere andato in Cina, citando il nome della città contestata.
Nella sala cadde un gelo terribile. Tutti i presenti capirono istantaneamente che un’affermazione così politicamente pericolosa, che appoggiava una rivendicazione straniera del territorio sovietico, non poteva essere fatta in pubblico senza essere immediatamente contestata, pena un deciso intervento censorio delle autorità, con conseguenze potenzialmente molto pesanti. Ma come contraddire un ospite autorevole e imprevedibile come Tullio Regge, capace nella foga della discussione di pronunciare chissà quali affermazioni pericolosissime? Il Presidente se la cavò brillantemente: dopo qualche terribile secondo di silenzio se ne uscì con “Ah! Ah! Ah! Il professor Regge ha sempre voglia di scherzare! Ah! Ah! Ah!” e tutta la tensione si sciolse in un enorme risata collettiva di sollievo per il pericolo scampato.
In altri casi il pubblico aveva assistito più divertito. Una volta il sindaco di Torino (che non era torinese e non parlava il dialetto locale) gli consegnò un premio e Tullio fece il discorso di ringraziamento in un piemontese strettissimo che ovviamente era del tutto incomprensibile per il sindaco.

Mi ricordo che una volta a una cena di un congresso di fisica teorica a Cortona mia figlia di venti mesi sedeva fra me e Tullio, che insistentemente le chiedeva di pronunciare parole impronunciabili come protosincrotone e si rivolgeva a me con aria serissima chiedendomi “Ma che problemi ha questa bambina? Non sa nemmeno pronunciare protosincrotone!”
Lo scherzo che gli riuscì meglio avvenne quando stava a Rochester. Fu incaricato di andare a prendere alla stazione una fisica sperimentale delle alte energie, Rosanna Chester, che arrivava dall’Italia. Regge ci andò ma all’ultimo momento decise di far finta di essere un americano e di non parlare l’italiano. La finzione andò avanti per un bel po’, fino a quando non gli scappò una parola in italiano e l’inganno fu scoperto. Non so quanto questo scherzo giocò un ruolo cruciale, ma due anni dopo Tullio e Rosanna divennero marito e moglie.

Epilogo

Forse le migliori parole per riassumere la sua vita sono quelle che lui stesso scrive nel bellissimo libro L’infinito cercare. Autobiografia di un curioso (Einaudi, 2012):
Credo di poter essere abbastanza soddisfatto di me. Non solo per le cose che ho scoperto e imparato, ma per il divertimento costante che mi ha accompagnato: guidato dalla mia curiosità ho aperto molte porte per curiosarvi dentro; e ogni volta che mi sono stufato, ne ho facilmente trovata un’altra che si è lasciata aprire. Ho avuto anche la fortuna di trovarmi in ambienti stimolanti, con collaboratori in gamba, che si sono dimostrati capaci di approfondire molti spunti in modo autonomo. Oggi, dello scienziato brillante che sono stato, restano tanti ricordi che piano piano si smorzano. Ma credo di aver fatto bene la mia parte. Al meglio che ho potuto.

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