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Massimo Tallone ci aiuta a leggere Ciau Masino di Cesare Pavese

E’ stato ripubblicato il primo lavoro di Cesare Pavese

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TORINO – Una bella operazione delle Edizioni del Capricorno (che ora si chiamano solo Capricorno), che decidono di ripubblicare a più di 50 anni dall’ultima volta Ciau Masino, il primo lavoro di Cesare Pavese, scritto tra il 1931 e il 1932.

Ciau Masino racconta le vicende del giovane giornalista torinese Masino e dell’operaio Masin, che viene dalle colline di Langa. Si tratta di un lavoro decisamente particolare, quasi sperimentale, col quale Pavese mette alla prova le sue capacità di scrittore e prende le misure per quello che sarà il suo stile.

Ci troviamo di fronte ad una serie di racconti che percorrono le storie dei due protagonisti. Sono racconti non sempre lineari, non sempre consecutivi. Alcuni compaiono sotto forma di poesia. Ne viene comunque fuori un ritratto affascinante e significativo di Masin e Masino, quasi fossero i due opposti, o le due facce della stessa medaglia, uno cittadino, giornalista, con base a Torino e pronto a conquistare il mondo, l’altro operaio che arriva dalle Langhe, la cui visione del mondo è più ristretta.

Il volume si chiude con un intervento di Massimo Tallone, una sorta di guida alla lettura.

L’intervista con Massimo Tallone

La riedizione di Ciau Masino si chiude con una tua guida alla lettura, che forse è più un suggerimento alla lettura, sbaglio?

In effetti è un invito accorato. Pavese in quest’opera di esordio dimostra una maturità spettacolare in termini di struttura. Il testo è articolato per sezioni, alcune delle quali in apparenza sono autonome, penso alle poesie, ma non è così. Pavese aveva già fiutato le avanguardie di inizio Novecento, era in grado di dare un respiro sinuoso e sontuoso alla sua architettura narrativa. Oggi gli esordienti sono molto più modesti, nella visione.

Ciau Masino è un volume quasi sperimentale, con racconti non consecutivi, poesie e due storie che viaggiano parallele. Qual è, secondo te, la caratteristica principale di questo lavoro?

La forza di Ciau Masino, a mio avviso, è nel coraggio. Ma non soltanto nell’accostare gesti letterari di solito non contigui, ma nell’imprimere a quei gesti un tracciato mai artificioso, spingendo all’estremo la profondità psicologica dei due personaggi-specchio, per esempio, e divorando per ognuno dei due le riserve di identità, fino alla lacerazione.

Masino e Masin sono due facce dello stesso “tipo” piemontese? Tu li definisci Jekyll e Hyde in salsa sabauda.

Masino e Masin sono due facce di un tipo umano universale, se no l’opera non sarebbe letteratura ma caricatura. E si tratta del tipo umano che, come Pavese, è in guerra costante con ognuna delle sue facce. Masino ama la città, ma ne soffre e la soffre, Masin trova stretta e angusta la campagna. E questo dualismo al quadrato, con lotta interna per ognuna delle ‘maschere’ è eterno. Poi, c’è l’essere piemontesi, certo, che dà una coloritura speciale alle due personalità, ma qui spicca il genio di Pavese: quel tratto non è dato dalle psicologie, se non in minima parte, ma dalla lingua, dal dialetto, premuto, spinto nella pagina senza paracadute.

Quali caratteristiche del Pavese più maturo sono già presenti in questo suo primo lavoro?

Come accade ai grandi autori, all’inizio c’è già tutto. Qui c’è l’embrione del Pavese che non saprà mai accettare del tutto un ruolo, una posizione, una certezza, il Pavese del dubbio eterno, condizione di chi scorge con troppa acutezza l’opacità del senso, l’insipienza delle umane cose.

Cosa può regalarci ancora oggi Cesare Pavese?

La forza di arretrare, credo, di non accecarsi con le verità assolute, costi quel che costi.

 

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