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Online la raccolta firme europea per vietare le terapie di conversione alle persone LGBTQ+

Sono state giudicate dalle Nazioni Unite come equiparabili alla tortura

Luca Vercellin

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TORINO– Le pratiche di conversione rivolte a persone LGBTQ+ rappresentano una delle forme più gravi di violenza psicologica e fisica ancora oggi tollerate in molti Paesi, compresi alcuni Stati membri dell’Unione Europea. Ora, una nuova proposta chiede alla Commissione europea di intervenire con un divieto giuridico vincolante a livello continentale. La raccolta firme è consultabile sulla pagina dell’Unione Europea, a questo link, dove è anche possibile firmare la petizione.

Cosa sono le pratiche di conversione?

Le cosiddette “terapie di conversione”, note anche come pratiche di riconversione o terapie riparative, sono una serie di interventi – psicologici, spirituali, medici o coercitivi – che hanno l’obiettivo di modificare, reprimere o “curare” l’orientamento sessuale o l’identità di genere di una persona LGBTQ+. Queste pratiche, secondo le Nazioni Unite, sono equiparabili alla tortura, a causa della loro natura discriminatoria, fraudolenta e profondamente dannosa.

In alcuni contesti si presentano come trattamenti terapeutici o percorsi religiosi “di guarigione”, ma spesso nascondono violenze verbali, fisiche, isolamento e abusi emotivi, specialmente su minori e giovani adulti.

La proposta alla Commissione europea

Un gruppo di attivisti, giuristi e associazioni per i diritti umani ha formalmente richiesto alla Commissione europea di proporre una direttiva che vieti le pratiche di conversione in tutta l’UE. In particolare, la proposta prevede:

  • l’inclusione delle pratiche di conversione tra i reati dell’Unione ai sensi dell’articolo 83 del Trattato sul funzionamento dell’UE;

  • la modifica della Direttiva sulla parità (2008/43/CE) per vietare esplicitamente tali pratiche;

  • un rafforzamento della Direttiva sui diritti delle vittime, per offrire assistenza e protezione legale, medica e psicologica a chi ne è stato vittima;

  • una risoluzione non vincolante per spingere gli Stati membri a vietare le pratiche di conversione anche prima di un’eventuale direttiva vincolante.

Perché serve un intervento europeo

Secondo stime affidabili, almeno il 5% delle persone LGBTQ+ in Europa ha subito pressioni o veri e propri trattamenti di conversione. I dati raccolti in Paesi come il Regno Unito e la Svezia parlano di migliaia di vittime, molte delle quali minorenni, spesso costrette da familiari o figure religiose.

L’assenza di una legislazione uniforme a livello europeo permette a queste pratiche di sopravvivere, spesso nell’ombra, con il risultato di gravi danni psicologici, isolamento sociale e, nei casi peggiori, tentativi di suicidio.

In Italia, la battaglia continua: raccolta firme per il referendum sul matrimonio egualitario

Mentre l’Unione Europea si muove verso un rafforzamento dei diritti LGBTQ+, in Italia si sta sviluppando una mobilitazione parallela: la campagna di raccolta firme per il referendum sul matrimonio egualitario.

L’obiettivo è chiaro: modificare la legge italiana per garantire pari diritti matrimoniali a tutte le coppie, indipendentemente dal sesso o dal genere. Attualmente, l’Italia riconosce solo le unioni civili, ma non consente il matrimonio tra persone dello stesso sesso, creando una disparità giuridica e simbolica con impatti concreti su adozioni, successioni, cittadinanza e molto altro.

La campagna referendaria, promossa da comitati civici e associazioni LGBTQ+, sta raccogliendo migliaia di firme in tutta Italia. Si tratta di un’occasione storica per portare la questione dei diritti civili al centro del dibattito politico e sociale.

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