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Un mare di plastica, intervista con Franco Borgogno

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Franco Borgogno, giornalista (di Qp) torinese, fotografo, guida naturalistica, nell’agosto 2016 ha preso parte ad un’avventura incredibile. A bordo di una nave da ghiaccio e per conto dell’European Research Institute ha preso parte alla spedizione del 5 Gyres Institute come unico italiano attraversando il passaggio a Nord Ovest.

Obiettivo del viaggio era studiare la presenza di plastiche nell’Artico. Quindici giorni per arrivare dalla Groenlandia al Canada raccogliendo campioni di acqua marina per sapere quante microplastiche e nanoplastiche sono presenti in quei mari che riteniamo incontaminati. I risultati sono decisamente impressionanti. Franco Borgogno ha raccontato quel viaggio nel libro Un mare di plastica, Nutrimenti Edizioni. Potete trovare qui la recensione integrale del libro.

Franco Borgogno ha risposto alle nostre domande. Trovate l’intervista subito dopo il video che mostra alcuni momenti della spedizione.

Hai deciso di raccontare una spedizione scientifica come una grande avventura, un grande viaggio dal quale lasciarsi avvolgere e coinvolgere. Perchè questa scelta?

Il mio obiettivo era quello di trasmettere passione e bellezza, partendo da quello che mi ha affascinato fin da bambino, insieme a elementi scientifici certi e affidabili, senza allarmismi e senza eccessivi tecnicismi. Volevo essere rigoroso ma anche godibile, appassionato e appassionante per avvicinare tutti a questa tematica e all’ambiente, alle ragioni per cui è così importante per tutti noi. La natura è meravigliosa, per mille aspetti a cui neppure facciamo caso: volevo accompagnare chiunque a scoprirne alcuni con me, a scoprire un luogo straordinario ma anche le ragioni semplici, le emozioni che ci possono cogliere in una passeggiata in un prato, su una spiaggia o in un bosco. E le ragioni per cui dobbiamo occuparci di tenere la natura, il mare e l’acqua in particolare, in piena salute.

Quello che conta però sono i numeri. La presenza di micro e nanoplastiche in un mare che l’immaginario collettivo vuole puro e immacolato…

Esatto e purtroppo non è così, anche nei mari più estremi o in quelli più straordinari per colori o trasparenza. Noi istintivamente associamo il brutto e apparentemente sporco al concetto di inquinamento. Il bello invece lo associamo al pulito e sano. Ma molte insidie e in particolare quella delle plastiche, che per il 90 per cento sono micro e quindi sostanzialmente invisibili, avvelenano l’ambiente pur lasciandolo – almeno in alcuni casi – bello: la plastica che vediamo abbandonata in acqua o in un prato è solo una piccolissima parte del totale di quella presente in natura. I numeri sono incredibili, basti pensare che gli studi ipotizzano che entro il 2050 il peso della plastica in acqua supererà il peso dei pesci: serve altro per comprendere che dobbiamo occuparci del problema?

Tra le cose che mi hanno colpito leggendo il libro c’è la (non) gestione dei rifiuti (plastici e non solo) delle comunità che vivono in quei luoghi. Il centro della questione è in fondo questo (o almeno è quello che possiamo fare nel nostro quotidiano): dobbiamo imparare a smaltire i rifiuti nel modo più corretto.

Quello dei rifiuti di plastica è una delle questioni più impellenti per l’umanità, perché causa un’altra serie di problemi gravissimi: economici, di accesso al cibo, di avvelenamento dell’elemento fondamentale per la vita (l’acqua appunto)… Le possibili soluzioni non sono moltissime: usare plastica soltanto quando indispensabile; riutilizzarla finchè possibile; riciclarla; favorire la diffusione di plastiche biodegradabili in tempi molto brevi. Purtroppo, quello che si vede in piccole comunità sperdute come quelle che ho visitato in Artico è lampante: non ci si occupa della fine vita del prodotto, ma soltanto di farglielo arrivare. E quello è in scala minima quello che accade in scala molto maggiore nei luoghi in cui la densità umana è maggiore, il numero di persone milioni di volte superiore.

Nel libro insisiti più volte sul ciclo della plastica. Una bottiglietta passa dalla nostra tavola al mare e poi (in fondo) ritorna sulla nostra tavola. Ci racconti questo circolo vizioso?

E’ molto semplice. Tutta la plastica prodotta in 70 anni è sulla Terra, da qualche parte perché i tempi di decadenza delle materie plastiche nate dal petrolio sono lunghissimi. Qualunque oggetto di plastica, una volta finito nell’ambiente, si spezzetta e sbriciola ma non perde le proprie caratteristiche: resta plastica. Finisce in uno scarico domestico o industriale, in un tombino, su un prato e poi trasportato da un ruscello, da un fiume, dal vento quindi arriva inevitabilmente al mare, magari dopo qualche anno. In mare viene poi mangiato da pesci o mammiferi marini, quindi entra nel ciclo biologico. E in qualche modo, prima o poi, torna a noi. In tutto questo viaggio, la plastica assorbe altre sostanze tossiche disciolte e le rilascia negli organismi che la mangiano.

Di solito la mia quinta domanda riguarda al cinema (e per il modo in cui è scritto il libro una trasposizione cinematografica non sarebbe una follia) ma in questo caso vorrei concentrarmi ancora sul tema e allargare il panorama. Cosa ci puoi dire sulla situazione mondiale delle plastiche e cosa stanno facendo i governi del mondo per affrontare il problema?

La produzione di plastica cresce in maniera vertiginosa: abbiamo superato i 322 milioni di tonnellate annue. Di questi, 10 milioni circa finiscono in acqua, ogni anno. Il problema è gigantesco, la plastica è diffusa in tutta l’acqua terrestre (ghiacciai compresi) e rappresenta un problema anche economico, tanto che se ne è occupato il World Economic Forum 2016, oltre agli scienziati che studiano il fenomeno da decenni. La sensibilità sta crescendo, ma occorre fare ancora moltissimo. I Governi fanno qualcosa, alcuni più alcuni meno, ma è importantissima la nostra azione di consumatori: le leggi ci aiutano, ma le nostre scelte sono fondamentali per orientare le scelte dell’industria e della politica: meno plastica e di tipo differente sarà in commercio, prima il problema invertirà le tendenza e dalla crescita esponenziale si passerà a un calo dell’infestazione. Solo allora avremo imboccato la strada verso l’uscita dal più grandi inquinamento a cui stiamo sottoponendo la Terra: un inquinamento diffuso ovunque, che veicola altri inquinamenti e che durerà per secoli.

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