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Il buon senso dista poco meno di un chilometro da casa nostra e si vende sfuso

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Se si potesse vendere il “buon senso”, si venderebbe “sfuso”. Un po’ come la pasta e i legumi che Sandra Milan e Gabriele Zangirolami inizieranno a vendere in corso Torino ad Asti (e presto anche a Torino e a Cuneo): logo e campagna pubblicitaria sono già ai nastri di partenza. “Il buon senso” sarà un negozio che venderà tutto sfuso, alla faccia della grande distribuzione: “Molti hanno già un angolo con detersivi o prodotti alla spina, noi terremo solo quelli”, racconta questo decoratore di 48 anni, torinese ma astigiano d’adozione (si è trasferito 17 anni fa).

LA FILOSOFIA DEL KM 0. “I prodotti che arrivano da più lontano, a parte l’olio ligure, sono i detersivi, che prendiamo a Leinì”. A 50 km da Asti. Quella della vicinanza è la filosofia che guida le scelte (anche imprenditoriali) dei due coniugi astigiani. Pochissimi, sugli scaffali del “buon senso”, saranno gli alimenti confezionati: “Giusto quello che per normativa deve essere sterilizzato, la marmellata, l’olio, che in Toscana si può vendere sfuso ma qui pare non ancora, il Barolo per ovvie ragioni, mentre sul latte crudo stiamo ancora cercando un fornitore, perché è una materia molto delicata”. Il progetto ha entusiasmato già i produttori, contenti finalmente di dover consegnare nella loro stessa città, mentre l’idea di affiancare ai prodotti i loro volti è venuta Sandra e Gabriele, “un modo per sentirci in contatto”.

KM ZERO O KIWI TUTTO L’ANNO? La filosofia che sta alla base di imprese come quella avviata dai due coniugi astigiani ha fatto breccia nella mente dei consumatori già da qualche anno. Numerose campagne della Coldiretti hanno sottolineato l’importanza del “mangiare locale e stagionale”, contro la logica del “kiwi tutto l’anno”. Con qualche risultato significativo, ad esempio in Veneto: grazie a 25mila firme raccolte in 4 mesi, ora esiste una legge regionale (la n.3 del 22 gennaio 2010) che riconosce le mense collettive, la ristorazione privata e i supermercati che adottano la produzione enogastronomia veneta nella misura percentuale dal 30 al 50 percento. Il testo di legge prevede la presenza di alimenti tipici, legati al territorio, nelle mense collettive di asili nido, scuole di ogni ordine e grado, ospedali, residenze per anziani e nei menù della ristorazione.

A supporto del chilometro zero arrivano anche i numeri, che parlano chiaro: per trasportare a Roma un chilo di ciliegie dall’Argentina in aereo per una distanza di 12mila km si liberano 16,2 kg di anidride carbonica (CO2), mentre per un kg di pesche dal Sudafrica nel viaggio di 8mila chilometri si emettono 13,2 kg di CO2 e, infine, gli arrivi di ogni kg di uva dal Cile producono 17,4 kg di CO2. Il tutto per permetterci di mangiare a ogni stagione banane, manghi, kiwi e uva, con conseguenze nefaste sia per il nostro portafoglio che per la qualità dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Ora, grazie a due coniugi astigiani, anche i consumatori piemontesi che lo vorranno avranno la possibilità di usare un po’ di buon senso a tavola.

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