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Cultura

Salone del Libro. Italia dimenticata e Italia da dimenticare, nell’Alfabeto di Giuliano Amato

Redazione Quotidiano Piemontese

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“Tutto quello che avreste sempre voluto sapere sul Risorgimento, ma non avete mai osato chiedere”. Al Salone del Libro Giuliano Amato, presidente del Comitato Italia 150, esordisce così, parafrasando Woody Allen. Ma subito si interrompe, dà un’occhiata alla platea, composta in gran parte da studenti, e si corregge: “Tutto quello che non so se avreste sempre voluto sapere sul Risorgimento, ma che di sicuro i manuali di storia tradizionali non vi raccontano”. Alfabeto Italiano (Università Bocconi Editore, 2011), scritto dal “dottor sottile” e da Paolo Peluffo, promette una storia inedita.

Un’Italia da non perdere. Il libro è un elenco di nomi e di concetti, rigorosamente in ordine alfabetico, come un abbecedario o una piccola enciclopedia (da notare che Amato presiede l’Istituto della Treccani). “Cercavamo una soluzione non usuale – spiega l’ex premier – Questa forma ci permette di trattare la materia con leggerezza, dando a ciascuno la possibilità di cercare ciò che più gli interessa. Ovviamente l’intenzione non è quella di raccontare tutto, ma di proporre alcuni ritratti, scelti in base alla nostra sensibilità e ai nostri gusti”. Quindi, guai a fargli l’elenco degli argomenti mancanti. “Chi ci prova sarà rispedito a casa”, assicura con tono perentorio il professore (mai del tutto eclissato dal politico). Dalle pagine di Alfabeto Italiano si affacciano i grandi nomi della politica e della cultura che hanno fatto l’Italia. Ma non sono imbalsamati o messi sul piedestallo, sono vivi, colti nei loro lati più umani. Qualche esempio? Ecco Mazzini, nascosto tra due materassi, a casa di una donna. Arriva la polizia per arrestarlo. Lui salta fuori dal nascondiglio e chiede ai gendarmi se hanno da accendere. Ed ecco Manzoni, un uomo schivo, claustrofobico e agorafobico, che ama i fiori e detesta la penna. Proprio così, Manzoni odia scrivere. “Quella del Risorgimento è un’avventura meravigliosa, ma di solito è raccontata male – precisa Peluffo, consulente della Presidenza del Consiglio per le celebrazioni del centocinquantenario ed ex collaboratore del Quirinale – C’è un patrimonio di storie incredibili da riscoprire. Prendiamo la carboneria. In tempi in cui la gente moriva di freddo, carbone voleva dire progresso, futuro. E’ come se oggi uno fondasse una società segreta e la intitolasse a Facebook”.

Un’Italia stanca? Al cospetto di cotanto passato, riflettere sul presente diventa indispensabile. Durante l’incontro (cui partecipano vari esponenti del mondo politico e culturale, dal Presidente della Provincia di Torino Antonio Saitta, al giornalista Alain Elkann) sembra inevitabile chiedere ad Amato una diagnosi sullo stato attuale del Paese. Lui non si sbilancia: “L’Italia di oggi è nettamente migliore di quella del 1861. Lo dicono i dati relativi a condizioni di salute, reddito e alfabetizzazione. Il problema è che l’Italia di oggi sembra prigioniera del presente e questa condizione proietta sul futuro molte paure”. Se il concetto non fosse chiaro, Amato lo spiega con una metafora calcistica tutta torinese: “Ti senti juventino non solo per gli scudetti che la squadra ha vinto, ma soprattutto per quelli che vincerà”. Attimo di silenzio: “Io però sono un irriducibile e sconsolato granata”.

Un’Italia impossibile. In tempi politicamente burrascosi c’è perfino chi (come il giornalista Enrico Cisnetto, moderatore dell’incontro) invoca una nuova Costituente. Ma l’opinione di Amato, a riguardo, è tranchant: “E’ questione di clima. Le Costituenti obbediscono a un bisogno di futuro che si traduce in un disegno politico. Purtroppo, in questo momento, anche nei conati di chi invoca un radicale rinnovamento delle istituzioni, io vedo un futuro peggiore e non migliore”. Del resto secondo il “dottor sottile” non bisogna stupirsi: “C’è stato un periodo, quello dei padri costituenti, in cui si era creato un intreccio strettissimo tra politica e grandi figure della cultura. Oggi i nostri politici non leggono più i libri, ma solo le agenzie di stampa. A Benedetto Croce hanno sostituito l’Adnkronos”.