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Cultura

Dalle elezioni al caso Ruby, al Salone del Libro un Travaglio da tutto esaurito

Davide Mazzocco

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Sono passate da poco le 17 quando Marco Travaglio annuncia al pubblico del Salone del Libro accorso ad assistere al suo incontro sulla “ricomparsa dei fatti” i dati che mettono al sicuro Piero Fassino da un eventuale ballottaggio. Nella sala esplode un sonoro applauso. E quando si annuncia il passaggio al secondo turno di De Magistris a Napoli e il vantaggio di Pisapia a Milano e di Merola (che diventerà successo acquisito più tardi) a Bologna l’applauso si rinnova. L’orientamento politico del pubblico di Travaglio è abbastanza univoco: è il partito trasversale di chi non ne può più. Perché dell’antiberlusconiano Travaglio tutto si può dire tranne che sia schierato a sinistra. E il giornalista torinese lo sottolinea a più riprese spiegando come lui e il suo giornale, Il Fatto quotidiano, non debbano rispondere ad altri che a se stessi, cioè ai giornalisti che sono gli stessi proprietari di ciò che producono. Difficile non credere che la scelta del giorno e dell’ora non sia stata ponderata per avere il piacere di commentare live i risultati elettorali. Ma nel suo lungo monologo di due ore, Travaglio comincia con le notizie che arrivano da Oltreoceano, dove Dominique Strauss Khan, presidente del Fondo Monetario Internazionale, è in stato d’arresto per stupro a danni di una cameriera d’albergo: “Suggerisco a Strauss Khan di venire in Italia, perché qui da noi i fatti sono ininfluenti” ironizza Travaglio ipotizzando cosa succederebbe qualora “Berluskhan” fosse colto sul fatto in una situazione analoga. Caustico, irriverente, dissacrante come sempre, Travaglio disegna scenari fantapolitici in cui i fatti vengono destrutturati e annacquati: “Di certo il suo entourage parlerebbe di manette facili, di poliziotti rossi annidati nel corpo di polizia di New York, di cameriere rosse e lui direbbe: ‘io non ho mai dovuto pagare le cameriere perché amo la conquista’”.  Il pubblico applaude a scena aperta, ride amaramente, commenta ad alta voce. Poi dalle ipotesi di fantapolitica si passa ai fatti e ci si accorge di come lo scarto con la realtà non sia poi così ampio. Travaglio analizza il caso Ruby e la controffensiva imbastita per gettare acqua sul fuoco dai giornali e dalle televisioni legate – direttamente o indirettamente – al premier. Il “must” che manda in visibilio il pubblico riguarda le intercettazioni: “In Italia vengono intercettate 6mila persone su 60 milioni. Possibile che Berlusconi riesca sempre a parlare con quei 6mila? Il premier ha detto di avere rinunciato al cellulare per non essere intercettato ma non deve cambiare telefonino, deve cambiare amicizie”.

Travaglio ne ha per tutti e tira bordate anche al Partito Democratico incapace, secondo lui, di approfittare dei numerosi problemi giudiziari del premier: “Solo perché c’è questo centrosinistra c’è ancora Berlusconi. E questo succede, per esempio, perché nessuno in un dibattito politico tira fuori gli altarini dell’altro poiché tutti hanno i loro e possono essere contrattaccati. Ecco quello che sogno io è un Paese in cui il confronto non sarà più sugli scandali ma sul meglio, un giorno in cui un politico non avrà nulla da nascondere”. C’è spazio anche per il successo editoriale del Fatto – 100mila lettori e 450mila utenti del sito – di cui viene sottolineata l’assoluta libertà d’azione: “In Italia è considerato talmente strano che si scriva tutto ciò che riguarda Berlusconi, D’Alema, Di Pietro e Vendola che subito qualcuno si chiede chi ci mandi. Nessuno capisce che ci mandiamo da soli. Noi non siamo più bravi di altri e in un altro Paese non saremmo un’eccezione, in Italia lo siamo perché ci sono numerosi giornali che senza le sovvenzioni statali non starebbero un giorno sul mercato, altri in cui i giornalisti devono quotidianamente compiacere ai loro padroni. I giornali non hanno amici hanno lettori e per conservare i lettori non possono avere amici”.

 

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