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Cultura

17 Filles, il tempo delle mele… al tempo della crisi

Davide Mazzocco

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Trent’anni fa Vic Berreton rovesciava il tavolo dell’armonia padri-figli cercando l’amore fuori dalle mura domestiche. Un bacio, un amore adolescenziale, i primi casti turbamenti dei sensi de Il tempo delle mele divennero il paradigma degli amori adolescenziali dei mirabolanti anni Ottanta. Il film ebbe un successo straordinario e un sequel. 17 filles non ha nulla a che vedere con quel film: si svolge a Lorient e non a Parigi, nella periferia e non nell’ombelico di Francia. Ma, soprattutto, la rivoluzione questo film delle sorelle Delphine e Muriel Coulin la fa al contrario: alla ribellione progressista dei genitori, le diciassette ragazze bretoni oppongono una rivolta conservativa. La sedicenne Camille (Louise Grinberg) rimane incinta di un figlio non voluto e decide di portare a termine la gravidanza trascinando con sé una quindicina di coetanee. La cittadina di mare è sotto shock. Il big bang di un’adolescente in cerca di un senso contagia viralmente le ragazze. “Non sai mettere a posto la tua camera! Persino i tuoi pesci rossi sono morti!” dice la madre a Camille, prima di accettare la situazione.

Come l’invasione di coccinelle sulla spiaggia, anche le gravidanze appartengono alla sfera dello straordinario. Ma forse c’è di più. È davvero un evento straordinario? Le sorelle Coulin ci danno un indizio. Alla base di questa vicenda di cronaca che finì sui mass media francesi nel 2008 vi è forse la crisi economica? È risaputo che le gravidanze aumentano vorticosamente nelle zone e nei periodi di depressione economica, mentre nelle situazioni di benessere si fanno meno figli. Alla Vic del “tempo delle mele” non sarebbe mai venuto in mente, avrebbe vissuto con leggerezza gli amori adolescenziali, gli stessi che per Camille sono strumentali a una gravidanza che è affermazione di se stessa. I ragazzi, ridotti a meri fantasmi riproduttivi, stanno a guardare. E lo sguardo degli adulti è miope, distante, quando non assente. Le sorelle Coulin avevano già convinto Cannes, ora ci riprovano con Torino. Al debutto cinematografico c’è già una buona visione e la capacità di non mettere le caviglie nelle tagliole del ricatto morale.

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