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Cultura

All’inaugurazione del Torino Film Festival ricco parterre e basso profilo

Davide Mazzocco

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Dopo un rullo con le immagini dei film che scriveranno la storia di questo Torino Film Festival, la madrina Laura Morante ricorda di essere per la prima volta ospite della rassegna torinese. Comincia così, in un Teatro Regio affollato e trepidante la tanto attesa kermesse cinematografica che si concluderà fra poco più di una settimana. L’attrice ricorda come siano stati proprio gli ultimi due direttori del TFF i più importanti della sua carriera: il precedente, Nanni Moretti, l’attuale, Gianni Amelio. Quest’ultimo arriva e con elegante understatement (basta stare a Torino qualche tempo ed entra nelle ossa…) ammette di essere padrone di casa “imbranato” e inizia la sequela dei ringraziamenti alle autorità presenti (il ministro dell’Istruzione Francesco Profumo, il sindaco di Torino Piero Fassino e gli assessori alla cultura Michele Coppola, Ugo Perone e Maurizio Braccialarghe). Liquidata la politica si passa ai saluti in “famiglia”: ai giurati (in cui spiccano i nomi di Valeria Golino e di Jerry Schatzberg), poi alle dame (Charlotte Rampling, Valeria Solarino, Carolina Crescentini, Luciana Littizzetto, Alina Marazzi e Margareth Mazzantini), ai nipponici protagonisti del Rapporto confidenziale (Sion Sono e Megumi Kagurazawa), alla truppa altmaniana (quando si alza in piedi Keith Carradine è un’ovazione).

Il momento che tutti attendono si avvicina. Dopo le polemiche delle scorse settimane si può ora stare al gioco. Laura Morante ha classe da vendere ed è lei ad aprire le danze: “A questo punto io dovrei andare” dice, riferendosi alla stampa che sosteneva che sarebbe stata un’altra la madrina della manifestazione. Gianni Amelio spalleggia la gag: “Sei stata la mia seconda scelta: non ti volevo come madrina ma come regista”. Già perché l’attrice grossetana è da poco passata dall’altra parte della barricata. Poi arriva Sergio Castellitto. L’attore entra in scena e gigioneggia, parla bene di Torino, città nella quale si è innamorato di sua moglie Margareth Mazzantini e nella quale è ora impegnato alla regia di Venuto al mondo. Tocca agli attori: entrano Emile Hirsch e Penelope Cruz. Due battute da ufficio stampa, pulite, anodine, poi torna mattatore Castellitto che spiega come “la Piemonte Film Commission debba aprire una scuola per insegnare alle altre Film Commission come lavora una Film Commission. Quella di Roma, per esempio, che non va”. Applausometro a mille. “Mi sono fatto dei nemici… meglio di così!”. Ma anche degli amici che torneranno buoni nelle prossime quattro settimane di set.

Il gran finale è con sei minuti della surreale e poetica comicità di Aki Kaurismäki che da forfait all’ultimo e non ritira il Gran Premio Torino. L’apertura è affidata a L’arte di vincere (Moneyball) di Bennet Miller, film di sport come di solito gli americani sanno fare. Brad Pitt eclissa le altre star (il ruolo di Philip Seymour Hoffman è marginale, quello di Robin Wright un cameo) in una storia che pare già vista, incapace di regalare emozioni, l’exploit degli Oakland Athletics che una decina d’anni fa batterono il record di 20 successi consecutivi nel campionato statunitense di baseball con una squadra rabberciata e con un budget risicatissimo.

Fuori dal Teatro Regio, la protesta dei lavoratori dello spettacolo che da mesi organizzano presidi e flash mob per dare visibilità alla carenza di risorse che rischia di mettere in discussione non solo il futuro ma anche il presente delle tante realtà satellite. “Siamo tutti precari della cultura” dice loro Amelio.

 

 

 

 

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