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Cronaca

I sindaci No Tav si appellano ai partiti per riaprire il dialogo. I liberisti di Chicago Blog contro l’opera

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Aprire subito un tavolo istituzionale sulla Torino-Lione, “partendo da posizioni non precostituite”. E’ la richiesta avanzata ai partiti dal presidente della Comunità montana Valsusa e Val Sangone, Sandro Plano, e dai 23 sindaci No Tav (Almese, Avigliana, Bruzolo, Bussoleno, Caprie, Caselette, Chianocco, Chiusa di San Michele, Giaglione, Gravere, Mattie, Mompantero, Moncenisio, Novalesa, Oulx, San Didero, San Giorio, Sant’Ambrogio, Sant’Antonino; Vaie, Venaus, Villar Dora e Villar Focchiardo).

Nella lettera i primi cittadini si dicono “preoccupati del degenerare dell’ordine pubblico sul proprio territorio per le vicende relative al progetto di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità”, prendono atto “delle dichiarazioni dei rappresentanti istituzionali di Regione e Provincia che dichiarano dell’avvenuto coinvolgimento delle popolazioni interessate all’opera, in assenza della presentazione presso i protocolli comunali della proposta di progetto (Tav low cost) sulla quale tutti discutono” e ritengono che “un confronto vero possa essere strumento di ammortizzazione del conflitto, facendolo rientrare in un alveo fisiologico”. Di qui l’invito alle forze politiche “di adoperarsi per l’apertura immediata di un tavolo istituzionale che permetta un confronto nel merito dell’opera, partendo da posizioni non precostituite”.

Quello dei sindaci No Tav è solo l’ultimo dei tanti (troppi) appelli che il movimento rivolge alle istituzioni per (ri)aprire un confronto sull’Alta Velocità. Finora è sempre stato inascoltato, fermo restando che il dialogo (per il governo e gli enti locali favorevoli) c’è già stato e ora è il momento di passare ai fatti. Tra le lettere più autorevoli che i No Tav hanno inviato in questi mesi c’è sicuramente quella firmata da 360 tra professori universitari e volti televisivi, il 24 gennaio 2012. Tra i promotori anche Luca Mercalli, il meteorologo di Che tempo che fa, che ieri, dalle colonne de Il Fatto Quotidiano, è tornato sull’argomento:

Il dialogo, soprattutto tra rappresentanti dell’ambito della ricerca usi ad argomentare secondo il metodo scientifico, non si dovrebbe mai negare nei paesi democratici, a maggior ragione allorché la controversia assume vaste proporzioni coinvolgendo l’ordine pubblico e sollevando una quantità di dubbi, ambiguità e contraddizioni che invitano a un’ulteriore dose di prudenza e approfondito riesame. Ciò non è purtroppo avvenuto, ed è motivo di profonda frustrazione da parte di molti di noi […]

Un mito aleggia sopra quel tunnel impedendo a politici, giornalisti e cittadini di alzare il velo e chiedersi come stanno veramente le cose, anche in Francia dove i lavori non sono affatto iniziati. È forse il mito futurista della velocità sferragliante, peraltro sorpassato dall’aereo e dal bit, unito all’illusione che da quel buco, e solo tra vent’anni, defluiscano da ovest prosperità e progresso? Eppure già oggi chiunque voglia andare a Parigi o alle Maldive lo può fare quando e come desidera! Ma la mancanza di quel tunnel sotto il massiccio dell’Ambin, infrastruttura rigida e obsoleta nelle sue finalità, foriera di debiti insanabili come dimostrato dalla Corte dei Conti su progetti analoghi, vorace di energia e prodiga di emissioni climalteranti, sembra privi tutti di un talismano viscerale. Personalmente, come ricercatore e giornalista, il rifiuto a discutere l’estrema complessità di questo progetto, mi avvilisce, e mi annienta come cittadino. Faccio mia l’accurata analisi sociologica di Marco Revelli confermando che in me il patto civile con lo Stato sta andando in frantumi. La fiducia nelle istituzioni, da me sempre onorata – dal servizio militare (alpino, ovviamente!) al pagamento delle imposte – sta venendo meno e ora un grande vuoto alberga in me.

La posizione contraria alla Tav non è prerogativa – oltre che di buona parte dei valsusini – del mondo dell’antagonismo, dell’ambientalismo o della “sinistra” genericamente detta. Anche un sito come Chicago Blog (leggi: liberismo duro e puro, direttore Oscar Giannino) è contrario all’opera. Per motivi non troppo diversi da quelli dei manifestanti. Scrive Ugo Arrigo:

Questo è il difetto principale del percorso decisionale delle grandi opere in Italia: chi ne trae vantaggio in genere non ne sopporta alcun onere o rischio mentre chi ne sopporta gli oneri in genere non ne trae alcun vantaggio. Inevitabile che i primi siano radicalmente d’accordo e i secondi radicalmente contrari e che il dibattito tra gli uni e gli altri sia un dialogo tra sordi.  E anche inevitabile che quando prevalgono i primi si facciano opere inutili, o utili ma a costi esorbitanti, facendo giocare molto poco il taxpayer e addebitandogli molte candele. Oppure, quando prevalgono i secondi, che non si riescano a fare opere caratterizzate da vantaggi che eccedono nettamente i costi.  Veniamo al caso specifico della TAV: i valsusini ci perdono solamente dato che l’opera verrà fatta sul loro territorio ma non lo servirà, favorendo (forse) il trasporto passeggeri e merci ma solo su distanze molto più lunghe;  i diversi livelli di governo del Piemonte (città e provincia di Torino, regione) ci guadagnano solamente dato che la nuova opera accresce la loro dotazione infrastrutturale  senza che essi debbano spendere un soldo.

Le imprese costruttrici e le banche finanziatrici ci guadagneranno con certezza, non sostenendo alcun rischio (interamente a carico dello stato come committente dell’opera e garante dei finanziamenti); lo stesso si verifica per FS, braccio operativo dello stato per la realizzazione dell’opera: se i costi sforeranno lo stato trasferirà le risorse aggiuntive necessarie  mentre se la nuova linea non avrà traffico il bilancio di FS non ne risentirà; il contribuente italiano perde invece con certezza dato che contribuirà agli oneri senza usare l’opera (tranne forse i pochissimi connazionali che usano il TGV anziché l’aereo per andare a Parigi).  Impossibile che da schemi di ripartizione vantaggi-svantaggi di questo tipo vengano fuori opere pubbliche dotate di senso economico.

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L’8 MARZO NO TAV. Questa mattina, infine, un’ottantina di donne hanno portato una mimosa fatta simbolicamente con i lacrimogeni raccolti dopo i fatti di Chianocco della scorsa settimana e un mazzo di filo spinato al sindaco di Susa, Gemma Amprino, la cui amministrazione è tra quelle (insieme a Chiomonte) favorevole alla Tav. La delegazione è stata ricevuta dal primo cittadino a cui, riferisce Nicoletta Dosio, nota attivista del movimento, le donne hanno esposto le loro ragioni contro l’opera. Sempre oggi il governo ha rese noto le sue ragioni a favore dell’Alta Velocità in Val di Susa in 14 punti, concentrandosi su costi, vantaggi e compensazioni: “La Tav costa 3 miliardi e solo due Comuni sono contrari”.

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