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Cronaca

Cuorgnè, si suicida 26enne bosniaco; la famiglia: ”Sul posto di lavoro gli hanno fatto di tutto”

Redazione Quotidiano Piemontese

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suicidioMentre sulle bocche di molti sono i suicidi dovuti anche alla mancanza di occupazione, c’è chi si toglie la vita non perchè privo di un posto, ma per quel che sul posto di lavoro accade. E’ quanto starebbe dietro il suicidio di un ragazzo di 26 anni, Kerim Smajlovic, di origine bosniaca, che si è gettato dalla finestra dell’appartamento al terzo piano in cui viveva con la famiglia, a Cuorgnè. Il giovane faceva controllo numerico presso un’officina di Pont, e qui – riferiscono i famigliari – era sottoposto ad angherie di ogni sorta.

“Nel preparare i turni cercavano sempre di lasciarlo solo – raccontano – e quando era con altri lo emarginavano, nessuno gli rivolgeva la parola. Perchè era straniero, l’unico lì dentro. L’hanno distrutto”. Ci sarebbero anche episodi – se possibile – ancora più gravi, sui quali comunque va fatta luce: la famiglia racconta infatti di una votazione interna fatta circa un mese fa per costringerlo a licenziarsi. Il ragazzo era depresso, questo è certo, e non ha retto più. Il sindaco di Cuorgnè, Beppe Pezzetto, a Repubblica non commenta ancora il presunto mobbing ma si rammarica di come “non si riesca a intervenire sul disagio, anche dei giovani, prima che questo sfoci in tragedia”.

La famiglia Smajlovic è benvoluta in quartiere, “perfettamente integrata” la descrivono i vicini. Un giorno del 1993 la loro casa era stata colpita e distrutta da una bomba; il papà si caricò tutta la famiglia e li portò via dall’inferno della guerra. Kerim aveva 5 anni. Ora, da 7 lavorava alle officine Roveda, ma negli ultimi mesi – rivela la sorella Alisa – era tormentato, lo “umiliavano perchè musulmano”. Oggi, a casa sono in tanti ad andare a trovare il padre, la sorella e il fratello, che hanno intenzione di denunciare l’azienda ai carabinieri. Azienda dalla quale, intanto, rispondono di non avere “niente da dire”.

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