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La situazione del Csi Piemonte fra il tragico e il farsesco: all’Assemblea dei Soci manca il numero legale

Redazione Quotidiano Piemontese

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L’assemblea dei soci del Csi Piemonte del 15 luglio che aveva l’obiettivo di ratificare l’inizio del percorso di privatizzazione del Consorzio mediante la procedura di dialogo competitivo si è chiusa con un sostanziale nulla di fatto per mancanza del numero legale. Ci sono state dichiarazioni motivate di assenza come quella della Città di Torino, della Città Metropolitana e dell’ASL TO1. Non hanno partecipato al voto i comuni di Moncalieri, Pinerolo, Cuneo, Biella e Bruino. Tra i presenti votanti, hanno espresso parere favorevole al percorso di privatizzazione la Regione Piemonte, l’Università ed il Politecnico di Torino, l’Arpea, l’ARPA e delle aziende sanitarie ed ospedaliere. L’Assessore De Santis ha ribadito la sua preferenza per la soluzione di mercato paventando, in caso contrario, possibili conseguenze nel breve periodo per i livelli occupazionali e gli stipendi dei dipendenti.

I dipendenti del Csi Piemonte sono sempre più preoccupati per una situazione grave, che pare stallata fra veti, interessi e colpi di mano. In un comunicato dell’RSU si scrive

Contrariamente quindi a recenti affermazioni comparse sugli organi di informazione, riprese dalla intranet aziendale, è emerso in tutta evidenza come Regione Piemonte e Città di Torino, pur concordi sulla necessità di valorizzare il CSI Piemonte, abbiano idee diverse quanto a tempi e modalità operative. In particolare, la Città di Torino ha fatto esplicito riferimento sia a precedenti atti del Comune che esprimono volontà diverse, sia alla necessità di approfondire i contenuti della procedura che si vorrebbe intraprendere. Inoltre la Città di Torino ha fatto formale richiesta di un report sulla procedura di consultazione informale con gli operatori privati consultati dal CSI per intraprendere la procedura di dialogo competitivo.

Nel corso della discussione in assemblea sono inoltre emerse da più parti consistenti e fondate perplessità sulla procedura proposta da Regione e illustrata dal Presidente Rossotto, riguardanti:

? la necessità di un mandato preciso di formale approvazione degli enti territoriali coinvolti (Giunte e Consigli);

? la necessità di rinegoziare i contratti con nuovo fornitore privato qualora il CSI da in house assuma una diversa veste societaria;

? la mancanza di “controllo analogo” sul fornitore privato;

? l’abbandono del regime di esenzione Iva e la conseguente necessità per gli enti di riallineare i propri bilanci;

? il fatto che la componente di CSI che rimanesse pubblica sarebbe finanziata come “costo puro” a carico di tutti gli enti consorziati, senza avere una componente di produzione;

? la reale possibilità che la privatizzazione possa perseguire obiettivi di innovazione tecnologica e applicativa a beneficio dei soci, in quanto la leadership dei progetti, perdendosi la componente produttiva, passerebbe completamente in mano ai privati;

? il forte rischio di delocalizzazione della produzione, derivante dalla cessione di ramo d’azienda a player privati di dimensioni internazionali; che avrebbe ripercussioni sui livelli occupazionali e sul tessuto sociale piemontese.

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