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Ambiente

La storia di Bruno Molino , un alpinista d’altri tempi che lascio la città per vivere la montagna

Redazione Quotidiano Piemontese

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Molti conoscono  e utilizzazano per alpinismo o anche solo per una escursione il bivacco Molino, del CAI di Lanzo, che sorge a 2280 metri nelle Valli di Lanzo, nel comune di Balme. Il  bivacco è dedicato a  Bruno Molino, un uomo che ha scelto la montagna per viverci arrivando dalla città, per poi morirci troppo giovane.

La storia di Bruno Molino dal blog I Camosci Bianchi

Era della leva del 1930 (da noi l’età si dice ancora così) e non era montanaro di nascita e neppure originario delle Valli di Lanzo. Era quello che si dice un alpinista di città, fortissimo ghiacciatore ed arrampicatore provetto, ma dotato soprattutto di quel senso della montagna che più facilmente si trova, ma non soltanto e non sempre, nei montanari di nascita.

All’età di quarant’anni, titolare di un avviato magazzino di elettrodomestici a Torino, fa la scelta della sua vita. Con la moglie ed il figlio adolescente, adotta una bambina e si trasferisce nella borgata Cornetti di Balme per gestire un piccolo negozio di alimentari. E’ una scelta coraggiosa, perché Bruno non sceglie di fissarsi in una di quelle località di montagna dove si può vivere bene dei proventi di un turismo ricco e magari assistito, come in Val d’Aosta. Sceglie invece le Valli di Lanzo, che non sono certo la montagna blasonata e alla moda, anzi vivono un momento di grave crisi economica e demografica, che molti ritengono irreversibile.
Balme è un villaggio piccolo e povero, da tempo ormai al di fuori dei circuiti turistici. Siamo nei primi anni Settanta, e ancora non si parla di una fruizione della montagna al di fuori dell’industria dello sci di pista. Parole come trekking, ciaspole, posto tappa non sono ancora entrate nel vocabolario corrente e non danno da vivere a nessuno.

Gli abitanti di Balme, poco più di cento, sono in maggioranza anziani e vivono delle povere risorse di un’agricoltura di sussistenza. Come ovunque, i montanari sono diffidenti e, sulle prime, non fanno buona accoglienza a quello straniero che pure si presenta in punta di piedi e che presto si rivela esperto artigiano, tecnico capace di riparare qualunque apparecchio e persino premuroso infermiere. Anche come soccorritore, la sua presenza è accettata dapprima con difficoltà. Ma Bruno, alpinista provetto, è soprattutto un uomo modesto, schivo, concreto e taciturno. Come i montanari veri. E i veri montanari, poco per volta, lo accettano come uno di loro. Diventa ben presto una figura di riferimento per tutti, residenti e villeggianti. L’età non più giovanissima non gli permette di coronare il suo sogno di divenire guida alpina, ma gli viene affidato l’incarico di responsabile della locale squadra del soccorso alpino.
E’ un impegno difficile in un’epoca, siamo sempre negli anni Settanta, quando l’impiego dell’elicottero è ancora un fatto eccezionale e i soccorsi si fanno ancora come una volta: a piedi, partendo magari nel cuore della notte, spesso nel maltempo, per affrontare dislivelli che si contano nell’ordine di migliaia di metri.

E’ un impegno difficile perché bisogna seguire l’evoluzione del soccorso alpino verso i tempi nuovi e Bruno, sia pure dopo molti anni, rimane uno straniero, che non parla la lingua del posto, che vede le cose in un modo diverso da chi non si è mai mosso dal paese. Eppure ce la fa, riuscendo a migliorare e modernizzare la squadra, a preparare e motivare le giovani leve. Attorno a lui si forma un gruppo di Balmesi e di villeggianti che frequentano la montagna regolarmente.
Decine di soccorsi, alcuni di grande impegno, lo vedono protagonista. Ma è un protagonista umile e schivo. Non cerca né ringraziamenti né elogi. Pochi gli sono riconoscenti, ma molti sono cresciuti alla sua scuola e se oggi Balme sta riconquistando, sia pure a fatica, un suo spazio nel mondo di coloro che amano la montagna rude, quella non annacquata o addolcita, lo dobbiamo anche a lui. Per ironia della sorte, quest’uomo vigoroso ed ascetico, che non fumava e non beveva neppure il caffè, viene stroncato da una crisi cardiaca all’età di soli cinquantaquattro anni.

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