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Istituto di Candiolo, Cancro del colon: identificata la proteina che può uccidere il tumore

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In aprile la prestigiosa rivista scientifica “Nature” i risultati di uno studio a cui ha partecipato l’Istituto di Candiolo IRCCS, coordinato da Mathew Garnett del Sanger Institute di Cambridge, nel Regno Unito. L’importante lavoro dell’equipe, che comprende anche Gabriele Picco, ricercatore formatosi a Candiolo e post-doc a Cambridge, ha posto le basi per lo sviluppo di una terapia applicabile sul cancro del colon.

In Italia si formulano ogni anno circa 53.000 nuove diagnosi di tumore del colon-retto. Il gruppo inglese ha applicato una tecnologia chiamata CRISPR/Cas9 che permette di eliminare, una per una, le proteine presenti in un tumore. Quando una proteina è identificata come decisiva per la crescita del tumore, la sua inattivazione, tramite il sistema CRISPR/Cas9, porta alla morte della massa neoplastica. Il laboratorio di Cambridge ha effettuato una rimozione sistematica di migliaia di proteine in centinaia di tumori diversi, identificando in questo modo una serie di geni “candidati” che, una volta eliminati, avrebbero compromesso la crescita di alcuni tipi di tumore.

I ricercatori di Candiolo, guidati dal prof. Livio Trusolino e dal prof. Andrea Bertotti, hanno analizzato uno dei geni candidati, chiamato WRN, e hanno dimostrato che l’eliminazione del gene è dannosa in particolare nei tumori del colon di tipo MSI (alta instabilità dei microsatelliti). Un risultato significativo che potrebbe aprire le porte ad una rivoluzionaria terapia per contrastare questo particolare tumore.

Livio Trusolino, professore presso il Dipartimento di Oncologia dell’Università di Torino e co-direttore con Andrea Bertotti del Laboratorio di Medicina Traslazionale del Cancro all’Istituto di Candiolo: “Lo studio, condotto con il Sanger Institute di Cambridge, è partito dall’ipotesi che un qualunque tumore abbia una sorta di tallone di Achille, un punto debole. Da qui, tramite screening sistematici su scala globale, abbiamo cominciato a identificare le proteine che, se disattivate, portano alla regressione dei tumori. Nello specifico, relativamente ai tumori del colon-retto di tipo MSI (che sono circa il 5-10% di tutti i tumori intestinali), quando la proteina WRN è disattivata la massa tumorale va incontro a morte. Il prossimo passo sarà lo sviluppo di un farmaco in grado di contrastare questo particolare tumore del colon-retto e le industrie farmaceutiche si stanno attivando in tal senso”.

I TUMORI DEL TIPO MSI
I microsatelliti sono piccole porzioni ripetute del DNA suscettibili a mutazioni con alta frequenza. Tali alterazioni del DNA possono essere riparate, o meno, con specifici meccanismi molecolari. Se prevalgono i processi di mutazione su quelli di riparazione, i microsatelliti si definiscono “instabili”, ossia MSI. Nel colon questa alterazione è correlata a tumori ereditari. Nell’85-90% dei casi di tumore al colon-retto non poliposico ereditario (HNPCC) è presente l’instabilità dei microsatelliti (MSI). Lo status di instabilità microsatellitare è un elemento prognostico e predittivo per i tumori colorettali: i pazienti con un’elevata instabilità microsatellitare hanno una prognosi migliore di quelli con microsatelliti stabili.

Cambridge e Candiolo continuano la loro fruttuosa collaborazione per capire il meccanismo che, a partire dall’inattivazione di WRN, porta alla morte delle cellule tumorali, e perché questo accade selettivamente nei tumori del colon di tipo MSI. Stanno inoltre indagando se la disattivazione di WRN sia dannosa anche per i tumori MSI di altri organi.

Anna Sapino, direttore scientifico dell’Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro di Candiolo: “Le potenzialità applicative in oncologia sono ovviamente molto importanti. Alla luce della scoperta del team anglo-italiano diversi laboratori si stanno occupando di disegnare dei farmaci che possano inibire WRN come preludio per una terapia innovativa nei pazienti affetti da tumore del colon. Il prossimo passo sarà un trial clinico di fase 1 che utilizzi queste terapie innovative. Gli studi clinici di fase 1 seguono ad una fase sperimentale preclinica validata e rappresentano il primo passo verso lo sviluppo di un nuovo farmaco, in cui vengono individuati il dosaggio più sicuro, la via di somministrazione più efficace e monitorati eventuali effetti collaterali”.

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