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La generazione Paolorossi

luca.rolandi

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Si è allontanato in silenzio con uno dei sui guizzi, Pablito. Paolo Rossi era un uomo, con una moglie e due figlie giovani e un figlio ormai adulto. Era un uomo, con il nome più comune in Italia.

Era un mite e la sua grinta la esprimeva in campo, con gli scatti, nervosi improvvisi. Ne sanno qualcosa i brasiliani.
Era un uomo che oggi i suoi cari piangono e noi affidiamo al cielo. Ma è stato e sarà per sempre un simbolo, un pezzo di storia sociale del nostro paese. Sarria Barcellona, 4 luglio 1982 e poi Santiago Bernabeu Madrid, 11 luglio 1982.
Due date scolpite nella memoria collettiva, qualcosa di più di una vittoria sportiva, di un mondiale di calcio. Aveva giocato partendo da Prato, a Vicenza, nel Perugia nella Juve del Trap, nel Milan, ma era di tutti. Paolorossi tutto attaccato come Gigiriva.
Era un mite, basta solo vedere le foto quando dietro la sbarra del calcio scommesse del 1980 tutto sembrava perduto. Ci vollero l’astuzia di Boniperti e la saggezza di un padre nobile e profondo come Enzo Bearzot per riportarlo alla luce, il ragazzino fragile. Oggi chissà dove dimora, se avrà incontrato Diego Maradona, con il quale si confrontò nei suoi anni di calcio, oppure il suo compagno silenzioso e angelico Gaetano Scirea.

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