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Il tartufo nelle mani del Parlamento: l’allarme dei trifolau piemontesi contro il nuovo disegno di legge
La tradizione secolare dei cercatori di tartufi minacciata da una proposta che potrebbe rivoluzionare – e forse snaturare – il mondo del tartufo in Piemonte. A rischio la “libera cerca”, cuore culturale e identitario di un’intera comunità rurale.

CUNEO – Il mondo dei cercatori di tartufi piemontesi è in forte agitazione in queste settimane. A scaldare gli animi non è soltanto il caldo torrido – che fa temere una stagione avara di tartufi – ma anche un disegno di legge che sta preoccupando profondamente i trifolau, i tradizionali cercatori del prezioso fungo ipogeo, simbolo dell’eccellenza gastronomica regionale.
Il punto al centro della polemica è il disegno di legge presentato al Senato dal senatore cuneese Giorgio Maria Bergesio (Lega). L’obiettivo dichiarato è aggiornare una normativa ormai vecchia di 40 anni, quella del 1985, ridefinendo le regole per la raccolta e introducendo, per la prima volta, la possibilità di considerare il tartufo come prodotto agricolo coltivabile. Ma è proprio questa definizione a far saltare i nervi ai trifolau.
Il cuore del dissenso: il tartufo non è una patata
Vogliono equiparare il tartufo a un prodotto agricolo da coltivazione, come le patate o i pomodori, snaturandone la sua origine spontanea e limitandone la raccolta alle tartufaie riservate, denuncia Luca Bannò, presidente della Federazione italiana liberi cercatori. La preoccupazione è forte: così faranno sparire la libera cerca, e con quella una tradizione centenaria.
Nel testo di legge si introduce la possibilità di disciplinare la coltivazione del tartufo e di creare riserve tartufigene, ovvero aree in cui la raccolta sarebbe consentita solo a chi ne detiene il diritto. Una misura che, secondo i cercatori, limiterebbe fortemente l’accesso libero ai boschi, minando alle fondamenta lo spirito della cerca tradizionale, tramandata di generazione in generazione.
Una protesta tra bosco e città
Lo scorso 14 giugno, in una Torino gremita per eventi di alta cucina come The World’s 50 Best Restaurants, è andata in scena una singolare protesta: 400 trifolau, accompagnati dai loro inseparabili cani da fiuto, hanno marciato dal cuore elegante di via Lagrange fino al grattacielo della Regione Piemonte. Una manifestazione pacifica ma simbolica, organizzata dallo stesso Bannò, che ha consegnato un documento all’assessore regionale Marco Gallo, titolare della delega alla Tartuficoltura.
Gallo ha espresso il proprio sostegno ai cercatori, dichiarando che «la libera cerca è uno dei pilastri del mondo del tartufo piemontese. Eliminarla equivale a togliere la poesia a questo misterioso prodotto». La Regione si è detta contraria al disegno di legge e ha chiesto più tutele per le aree di libera cerca, oltre a maggiori contributi ai proprietari di piante tartufigene, per contrastare il disboscamento.
Il disegno di legge Bergesio: cosa prevede
Il DDL Bergesio mira a colmare alcune lacune normative. Tra i punti principali:
Introduzione di una classificazione chiara delle specie di tartufo;
Riconoscimento della tartuficoltura come attività agricola vera e propria;
Possibilità per le Regioni di disciplinare i calendari e gli orari di raccolta, compresa la possibilità di vietare la cerca notturna e nelle aree fluviali.
Proprio quest’ultimo punto ha generato ulteriori timori. La cerca notturna – praticata nelle fresche ore serali con l’aiuto dei cani addestrati – è una tradizione radicata e spesso l’unico momento utile per trovare il prezioso tubero nei mesi più caldi. Il senatore Bergesio ha cercato di rassicurare: «Sarà la Regione a decidere. Sono convinto che nulla cambierà: è una tradizione che va preservata». Ma i cercatori non si fidano.
Un settore che vale milioni (e identità)
Il paradosso è che tutto questo accade mentre il tartufo piemontese, in particolare il bianco pregiato di Alba (Tuber magnatum Pico), gode di una straordinaria visibilità internazionale. Il 20 giugno è stata lanciata la 95ª edizione della Fiera internazionale del tartufo bianco d’Alba, che si svolgerà dall’11 ottobre all’8 dicembre. Un evento che attira oltre 600.000 visitatori da più di 70 Paesi e genera ricadute economiche superiori ai 250 milioni di euro.
Non è solo questione di soldi: il tartufo, per il Piemonte, è anche cultura, ambiente, senso del luogo. Dal 2021, l’Unesco ha riconosciuto la cerca e cavatura del tartufo come Patrimonio immateriale dell’umanità. Un riconoscimento che sancisce il valore di un’attività che va ben oltre il semplice raccolto.
Trifolau in allarme: paura per la libertà, ma anche per il futuro
Dietro alla protesta non c’è solo l’orgoglio ferito di una categoria, ma il timore di una trasformazione irreversibile. Se il tartufo diventa un prodotto agricolo coltivabile – dicono in molti – finirà per essere controllato da pochi grandi proprietari. E la figura del trifolau, con il suo cane e la sua conoscenza intima dei boschi, sarà relegata al folklore.
La sfida ora è politica e culturale. Il rischio è che, in nome dell’innovazione normativa, si sacrifichi un equilibrio secolare tra uomo e natura. La cerca libera non è solo un diritto acquisito: è un gesto antico, un sapere condiviso, un’identità collettiva.
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