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L’infettivologo Di Perri: “Se il Covid uccidesse come l’Ebola i novax correrebbero a vaccinarsi”

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“È come se a me, dopo una vita trascorsa a tifare Fiorentina, all’improvviso chiedessero di diventare della Juventus: impossibile. Ecco: il tentativo — beninteso estenuante — di redimere la frangia più estrema dei no vax, ha la stessa probabilità di riuscita. Perché? Perché ormai, chi è senza vaccino non fa parte di una minoranza di sfiduciati, ancora in bilico tra scetticismo e paura. Piuttosto, oggi ci troviamo di fronte a gruppi nei quali vige un senso di appartenenza profondo; chi ne fa parte, si sente affiliato a una minoranza da difendere allo strenuo e che non può, e non deve, essere messa in discussione. La prova arriva dalle persone che affollano l’80% delle nostre terapie intensive; cittadini principalmente non vaccinati e che, nonostante abbiano sintomi severi, perseverano nel negare l’esistenza del Covid e delle sue tremende conseguenze”.

Così parla l’infettivologo e direttore del dipartimento delle malattie infettive all’Amedeo di Savoia, Giovanni Di Perri. “Se fossimo nel pieno di un’epidemia da Ebola, -continua – per cui muoiono 6 contagiati su 10, non ci sarebbe stato il problema dei no vax e tutti saremmo corsi a fare la puntura salvavita. Oggi, invece, di Covid muore l’1,3% dei contagiati, l’80% è sostanzialmente asintomatico e il resto ha una forma lieve di malattia. E i decessi scendono per merito della scienza. Oggi ci sono le cure monoclonali che, se somministrate entro i primi due giorni di malattia, riducono dell’80% la possibilità di ospedalizzazione. Opportunità che lo Stato ha messo a disposizione molti mesi fa, addirittura dallo scorso marzo. E che oggi, ben venga dopo prime reticenze, stanno entrando nella gestione ordinaria del virus”.

Riguardo alla convivenza con il virus Di Perri spiega: “L’idea che un giorno il Covid circoli libero, ci infetti come fanno tutti gli altri virus respiratori e noi si viva sereni perché vaccinati o protetti con altre cure, fa parte dello scenario probabile per il nostro futuro. Adesso, però, non è il momento di lasciarlo circolare libero perché continua a fare del male a un segmento troppo importante della popolazione”.

L’incidenza in salita e la pressione sugli ospedali preoccupa ancora i sanitari.  A quanto riporta l’infettivologo i ricoveri in terapia intensiva sono tre volte in più rispetto a un mese fa. “La situazione è meno grave dell’anno scorso ma, ancora, genera molta pressione il che vuol dire che sarò costretto a sacrificare la cura e la prevenzione dei tumori, e di tante altre malattie”.

E poi conclude con una visione condivisibile della società attuale: “Il problema è che la società contemporanea sta sfogando verso un individualismo incapace di perseguire piccoli sacrifici individuali, in favore di un bene collettivo”.

 

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